L'ultima missione e la morte
L'ultimo impegno del Dusmet fu in favore del suo Ordine, incaricato da Leone XIII di provare a riunire tutti i rami benedettini, dopo le secolari divisioni. Fu questa la preoccupazione del cardinale benedettino, che riuscì, grazie alla sua indiscussa autorevolezza all'interno dell'Ordine, a riunire gli abati di tredici Congregazioni e ideare con loro la Confoederatio Benedictina, sancita nel palazzo di S. Calisto il 24 aprile 1893 e approvata da Leone XIII con il breve Summum semper del 12 luglio successivo. La Confoederatio, non intaccando l'autonomia delle singole Congregazioni, garantiva una supervisione generale sull'osservanza della disciplina monastica e un organo di comunione fra gli eredi di san Benedetto. Attualmente vi appartengono venti Congregazioni.
Di fatto, questo fu l'ultimo atto pubblico del card. Dusmet, che, tornato a Catania, ormai vecchio e stanco, dimostrò di essere consapevole di aver ormai concluso la sua missione terrena. Nel febbraio 1894 dovette sedersi mentre era, come di consueto, in adorazione dinanzi al Santissimo nella chiesa delle Verginelle, destando viva apprensione fra le suore salesiane, che lì operavano, perché mai era accaduto che egli si sedesse durante l'esposizione eucaristica. Scrisse anche l'epigrafe che voleva sulla sua tomba: "A che giova ornar di fiori caduchi il sepolcro dove morte chiuse la spoglia della quale fui vestito? Dite piuttosto un requie fruttuoso all'anima mia ne avrete mercede da Dio remuneratore". Il 14 febbraio, nella riunione mensile del clero, meditando su uno scritto di san Giuseppe Cafasso, concludeva con la sua ultima offerta: "Sono vostri, o Signore, quei pochi giorni che ancor mi rimangono a consumare sulla terra; io li depongo ai vostri piedi, fin da quest'istante ve ne faccio un dono intero, assoluto, irrevocabile: comandate, suggerite, disponete, fate di me come vi piace, purché io vi serva sino all'estremo del viver mio".
Un mese dopo, nella notte del 15 marzo, le sue condizioni di salute ebbero un repentino peggioramento. In quell'occasione il segretario si accorse che nei cassetti della camera da letto non vi era nulla, se non due lenzuola rattoppate, visto che il cardinale non aveva da tempo voluto che se ne comprassero di nuove, perché quelle gli andavano bene e diceva che il denaro era dei poverelli. Si pensò, dunque, a uno stratagemma. Dissero al cardinale che era a letto: "Eminenza, in sala c'è una persona che è venuta a dire di un povero infermo, il quale si trova in tal miseria da non avere lenzuola come coprirsi; cosa devo fare?". Subito il Dusmet rispose: "Va' a comprare la biancheria per questo povero, non indugiare". Quando tornarono con le lenzuola, il cardinale si rallegrò della celerità e disse: "Vadano subito a destinazione", "Si son già a destinazione - gli risposero - il povero è Vostra Eminenza" (Amadio, Il cardinale Dusmet, p. 380).
Intanto le notizie sulla salute del Dusmet si diffondevano per tutta la città e rapidamente giunsero anche fuori, suscitando apprensione in molti: dai confratelli vescovi ai poverelli, dalle istituzioni politiche agli appartenenti ad altre confessioni cristiane. Fu necessario apporre al portone un bollettino con l'evolversi delle condizioni dell'illustre ammalato, per evitare che una folla innumerevole continuasse a riversarsi nelle sale dell'episcopio per chiedere informazioni. I sacerdoti, per dimostrare il loro affetto all'amato pastore, organizzarono dei turni di veglia, in cui si avvicendavano notte dopo notte. Furono inoltre disposte la colletta pro quacumque tribulatione da recitarsi ad ogni messa e l'esposizione quotidiana del Santissimo Sacramento, oltre a novene e tridui che il popolo innalzava al cielo per la salute dell'arcivescovo. Ovunque si pregava per lui. Pure il beato Bartolo Longo, saputa la notizia, affidò la supplica alla preghiera delle orfanelle della sua Opera a Pompei.
Molte persone giunsero a Catania in quell'occasione, come il cugino e abate di Montecassino, dom Nicola D'Orgemont, che portò con sé uno dei migliori medici del Paese, il dott. Postiglione.
La voce speranzosa del popolo lo volle migliorato, ma il 26 marzo le sue condizioni si aggravarono ulteriormente e gli furono amministrati i sacramenti dall'ausiliare, mons. Caff, con il concorso del Capitolo e del Seminario. In quell'occasione, seppur commosso e debole, il Dusmet volle parlare, dicendo lentamente: "Domando perdono al Signore se non ho adempiuto al mio dovere di vescovo. Domando perdono a tutti per gli scandali che ho potuto dare. Spero che il Signore mi abbia ad usare misericordia" (Amadio, Il cardinale Dusmet, p. 383).
Fu portato a conoscenza della malattia il papa, tramite il segretario di Stato, il card. Mariano Rampolla del Tindaro. Leone XIII ne fu addolorato e inviò la sua benedizione apostolica, non mancando di far sentire la sua vicinanza con l'invio di diversi telegrammi.
Il 27 marzo il Dusmet ricevette l'unzione degli infermi e in quell'occasione ebbe a dire: "Non mi lasciate nel Purgatorio, la responsabilità di un vescovo è grande!".
Il 3 aprile fu chiaro che ormai era giunto alla fine della sua vita, lo stesso periodico diocesano scriveva sinceramente: "Pare che i due gloriosi Santi (Giuseppe e Benedetto) preferiscano averlo presto con loro, al lasciarlo per qualche tempo ancora fra noi" (La Campana, 3 aprile 1894, p. 1).
Durante la giornata si aggravò, mantenendo però "una intalterabile calma e una edificante pazienza, immerso nel pensiero dell'eternità, recitando giaculatorie con aspirazioni ardenti al Paradiso, raccomandandosi alle preghiere dei suoi" (Positio, p. 263). Rimaneva sua unica preoccupazione la carità, tanto che, in un momento di vagheggiamento, disse al suo segretario: "Luigi, vedi là quel poveretto vestito di bianco? Gli hai dato nulla?", e il segretario lo rassicurava di aver provveduto a tutto.
Il 4 aprile, intorno alle 13, sopraggiunse l'infezione con alte febbri; alle 16 si ricorse alla respirazione artificiale, che fu però sospesa quando, quattro ore più tardi, ci si rese conto che non sarebbe servita a nulla. L'agonia divenne più che mai angosciata, assistevano l'infermo il vescovo ausiliare, mons. Antonino Caff, l'abate di Montecassino, dom Nicola D'Orgemont, il segretario, dom Luigi Taddeo Della Marra, e altri sacerdoti, che rimasero nell'anticamera per non riempire la stanza dell'agonizzante. Alle ore 22.30 spirò, fra il pianto generale dei presenti, che rimasero sconcerati quando, entrando nella camera per ricomporre la salma, non trovarono nulla con cui vestirlo se non le vesti che portava quotidianamente. "Inutile cambiare la camicia bagnata dal sudore della morte - testimoniava don Brancati -, non ce n'era un'altra. Fu vestito con la sua logora tonaca di benedettino" (Positio, p. 588).
Non si trovò neanche un lenzuolo per il catafalco, tanto che l'abate D'Orgemont, sorpreso, esclamò: "Un lenzuolo funebre, anche data la carità e la povertà del cardinale Dusmet, dovrebbe trovarsi". Il lenzuolo, unitamente alla biancheria, furono poi donati dalla famiglia del canonico Marcenò. Successivamente i presenti poggiarono le loro corone sulle mani del defunto per ottenerne una reliquia e lo stesso don Brancati, tolta la fascia che inizialmente chiudeva la bocca del Dusmet, la conservò come una reliquia, segno della fama di santità di cui già godeva in vita.
Il mattino seguente, all'alba, le campane a morto portarono alla città di Catania la triste notizia: "Tutti ci inginocchiammo, tutti piangevano, tutti i negozianti chiusero i negozi, i cocchieri si ritirarono in casa con le loro carrozze, anche i protestanti chiusero la loro chiesa evangelica, ed era comune sulle bocche di tutti l'esclamazione: E' morto, è morto il padre, è morto il santo cardinale" (Positio, p. 618). Gli edifici pubblici esposero le bandiere a mezz'asta: così il municipio, la prefettura, l'avvocatura erariale, l'università.
Testo tratto da Giovanni Carovello Grasta, La nostra bandiera è la concordia. L'ecclesiologia del beato Giuseppe Benedetto Dusmet, arcivescovo di Catania (1867-1894), tesi di Licenza anno 2017-2018, pp. 17-20.
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Per approfondire si consiglia:
L'ultimo impegno del Dusmet fu in favore del suo Ordine, incaricato da Leone XIII di provare a riunire tutti i rami benedettini, dopo le secolari divisioni. Fu questa la preoccupazione del cardinale benedettino, che riuscì, grazie alla sua indiscussa autorevolezza all'interno dell'Ordine, a riunire gli abati di tredici Congregazioni e ideare con loro la Confoederatio Benedictina, sancita nel palazzo di S. Calisto il 24 aprile 1893 e approvata da Leone XIII con il breve Summum semper del 12 luglio successivo. La Confoederatio, non intaccando l'autonomia delle singole Congregazioni, garantiva una supervisione generale sull'osservanza della disciplina monastica e un organo di comunione fra gli eredi di san Benedetto. Attualmente vi appartengono venti Congregazioni.
Di fatto, questo fu l'ultimo atto pubblico del card. Dusmet, che, tornato a Catania, ormai vecchio e stanco, dimostrò di essere consapevole di aver ormai concluso la sua missione terrena. Nel febbraio 1894 dovette sedersi mentre era, come di consueto, in adorazione dinanzi al Santissimo nella chiesa delle Verginelle, destando viva apprensione fra le suore salesiane, che lì operavano, perché mai era accaduto che egli si sedesse durante l'esposizione eucaristica. Scrisse anche l'epigrafe che voleva sulla sua tomba: "A che giova ornar di fiori caduchi il sepolcro dove morte chiuse la spoglia della quale fui vestito? Dite piuttosto un requie fruttuoso all'anima mia ne avrete mercede da Dio remuneratore". Il 14 febbraio, nella riunione mensile del clero, meditando su uno scritto di san Giuseppe Cafasso, concludeva con la sua ultima offerta: "Sono vostri, o Signore, quei pochi giorni che ancor mi rimangono a consumare sulla terra; io li depongo ai vostri piedi, fin da quest'istante ve ne faccio un dono intero, assoluto, irrevocabile: comandate, suggerite, disponete, fate di me come vi piace, purché io vi serva sino all'estremo del viver mio".
Un mese dopo, nella notte del 15 marzo, le sue condizioni di salute ebbero un repentino peggioramento. In quell'occasione il segretario si accorse che nei cassetti della camera da letto non vi era nulla, se non due lenzuola rattoppate, visto che il cardinale non aveva da tempo voluto che se ne comprassero di nuove, perché quelle gli andavano bene e diceva che il denaro era dei poverelli. Si pensò, dunque, a uno stratagemma. Dissero al cardinale che era a letto: "Eminenza, in sala c'è una persona che è venuta a dire di un povero infermo, il quale si trova in tal miseria da non avere lenzuola come coprirsi; cosa devo fare?". Subito il Dusmet rispose: "Va' a comprare la biancheria per questo povero, non indugiare". Quando tornarono con le lenzuola, il cardinale si rallegrò della celerità e disse: "Vadano subito a destinazione", "Si son già a destinazione - gli risposero - il povero è Vostra Eminenza" (Amadio, Il cardinale Dusmet, p. 380).
Intanto le notizie sulla salute del Dusmet si diffondevano per tutta la città e rapidamente giunsero anche fuori, suscitando apprensione in molti: dai confratelli vescovi ai poverelli, dalle istituzioni politiche agli appartenenti ad altre confessioni cristiane. Fu necessario apporre al portone un bollettino con l'evolversi delle condizioni dell'illustre ammalato, per evitare che una folla innumerevole continuasse a riversarsi nelle sale dell'episcopio per chiedere informazioni. I sacerdoti, per dimostrare il loro affetto all'amato pastore, organizzarono dei turni di veglia, in cui si avvicendavano notte dopo notte. Furono inoltre disposte la colletta pro quacumque tribulatione da recitarsi ad ogni messa e l'esposizione quotidiana del Santissimo Sacramento, oltre a novene e tridui che il popolo innalzava al cielo per la salute dell'arcivescovo. Ovunque si pregava per lui. Pure il beato Bartolo Longo, saputa la notizia, affidò la supplica alla preghiera delle orfanelle della sua Opera a Pompei.
Molte persone giunsero a Catania in quell'occasione, come il cugino e abate di Montecassino, dom Nicola D'Orgemont, che portò con sé uno dei migliori medici del Paese, il dott. Postiglione.
La voce speranzosa del popolo lo volle migliorato, ma il 26 marzo le sue condizioni si aggravarono ulteriormente e gli furono amministrati i sacramenti dall'ausiliare, mons. Caff, con il concorso del Capitolo e del Seminario. In quell'occasione, seppur commosso e debole, il Dusmet volle parlare, dicendo lentamente: "Domando perdono al Signore se non ho adempiuto al mio dovere di vescovo. Domando perdono a tutti per gli scandali che ho potuto dare. Spero che il Signore mi abbia ad usare misericordia" (Amadio, Il cardinale Dusmet, p. 383).
Fu portato a conoscenza della malattia il papa, tramite il segretario di Stato, il card. Mariano Rampolla del Tindaro. Leone XIII ne fu addolorato e inviò la sua benedizione apostolica, non mancando di far sentire la sua vicinanza con l'invio di diversi telegrammi.
Il 27 marzo il Dusmet ricevette l'unzione degli infermi e in quell'occasione ebbe a dire: "Non mi lasciate nel Purgatorio, la responsabilità di un vescovo è grande!".
Il 3 aprile fu chiaro che ormai era giunto alla fine della sua vita, lo stesso periodico diocesano scriveva sinceramente: "Pare che i due gloriosi Santi (Giuseppe e Benedetto) preferiscano averlo presto con loro, al lasciarlo per qualche tempo ancora fra noi" (La Campana, 3 aprile 1894, p. 1).
Durante la giornata si aggravò, mantenendo però "una intalterabile calma e una edificante pazienza, immerso nel pensiero dell'eternità, recitando giaculatorie con aspirazioni ardenti al Paradiso, raccomandandosi alle preghiere dei suoi" (Positio, p. 263). Rimaneva sua unica preoccupazione la carità, tanto che, in un momento di vagheggiamento, disse al suo segretario: "Luigi, vedi là quel poveretto vestito di bianco? Gli hai dato nulla?", e il segretario lo rassicurava di aver provveduto a tutto.
Il 4 aprile, intorno alle 13, sopraggiunse l'infezione con alte febbri; alle 16 si ricorse alla respirazione artificiale, che fu però sospesa quando, quattro ore più tardi, ci si rese conto che non sarebbe servita a nulla. L'agonia divenne più che mai angosciata, assistevano l'infermo il vescovo ausiliare, mons. Antonino Caff, l'abate di Montecassino, dom Nicola D'Orgemont, il segretario, dom Luigi Taddeo Della Marra, e altri sacerdoti, che rimasero nell'anticamera per non riempire la stanza dell'agonizzante. Alle ore 22.30 spirò, fra il pianto generale dei presenti, che rimasero sconcerati quando, entrando nella camera per ricomporre la salma, non trovarono nulla con cui vestirlo se non le vesti che portava quotidianamente. "Inutile cambiare la camicia bagnata dal sudore della morte - testimoniava don Brancati -, non ce n'era un'altra. Fu vestito con la sua logora tonaca di benedettino" (Positio, p. 588).
Non si trovò neanche un lenzuolo per il catafalco, tanto che l'abate D'Orgemont, sorpreso, esclamò: "Un lenzuolo funebre, anche data la carità e la povertà del cardinale Dusmet, dovrebbe trovarsi". Il lenzuolo, unitamente alla biancheria, furono poi donati dalla famiglia del canonico Marcenò. Successivamente i presenti poggiarono le loro corone sulle mani del defunto per ottenerne una reliquia e lo stesso don Brancati, tolta la fascia che inizialmente chiudeva la bocca del Dusmet, la conservò come una reliquia, segno della fama di santità di cui già godeva in vita.
Il mattino seguente, all'alba, le campane a morto portarono alla città di Catania la triste notizia: "Tutti ci inginocchiammo, tutti piangevano, tutti i negozianti chiusero i negozi, i cocchieri si ritirarono in casa con le loro carrozze, anche i protestanti chiusero la loro chiesa evangelica, ed era comune sulle bocche di tutti l'esclamazione: E' morto, è morto il padre, è morto il santo cardinale" (Positio, p. 618). Gli edifici pubblici esposero le bandiere a mezz'asta: così il municipio, la prefettura, l'avvocatura erariale, l'università.
Testo tratto da Giovanni Carovello Grasta, La nostra bandiera è la concordia. L'ecclesiologia del beato Giuseppe Benedetto Dusmet, arcivescovo di Catania (1867-1894), tesi di Licenza anno 2017-2018, pp. 17-20.
E' vietata la pubblicazione del testo o di parte di esso, per ottenere il permesso gratuito si può inoltrare richiesta all'amministratore del sito, specificando la motivazione e il luogo della pubblicazione.
Per approfondire si consiglia:
- Catania al Cardinale Dusmet. Ricordi Patrii, Catania 1889, E appendice del 1904.
- Luigi Della Marra, Il Collegio Sant'Anselmo in Roma e il Cardinale Dusmet, Catania 1901.
- Faustino Avagliano, Lettere del Cardinale Dusmet per il nuovo collegio di S. Anselmo in Roma, Montserrat 1988.