La nascita e la formazione monastica
Il Beato Giuseppe Benedetto Dusmet nacque a Palermo il 15 agosto 1818 e fu battezzato lo stesso giorno nella Cattedrale metropolitana con ben dodici nomi, come era usanza fra le nobili famiglie del tempo. I Dusmet, infatti, di origini belga, avevano il titolo di marchesi De Smours, e vivevano da tempo a Napoli, dove godevano dell'amicizia della famiglia reale. Il padre del beato, Luigi, era capitano di vascello; la madre, Maria Dragonetti, apparteneva anch'essa a una famiglia di marchesi, di origini siciliane.
Non è secondaria l'origine nobiliare delle due famiglie, perché essa influirà non poco nella formazione del benedettino.
Fino all'età di cinque anni Melchiorre (così veniva chiamato in famiglia) visse in casa, formandosi soprattutto alla scuola della madre, donna pia e devota, dedita alla carità, tanto che casa Dusmet era diventata per i poveri della città una vera e propria mensa, in cui si poteva trovare pane e companatico ogni giorno. Dopo i cinque anni il piccolo fu accolto nel monastero di San Martino delle Scale, presso Palermo, dove erano di casa gli zii materni Luigi e Leopoldo. Nel monastero Melchiorre visse la sua infanzia e la sua adolescenza, seguendo una formazione classica e meritando il plauso dei suoi insegnanti e dei superiori.
Intorno ai 18 anni, secondo l'usanza del tempo, fu rimandato in casa, affinché l'eventuale scelta monastica potesse risultare ben ponderata. La madre era già mancata e il padre, riconoscendo le grandi capacità di Melchiorre, sperava di poterlo avviare alla carriera militare per avere un degno successore. A tal fine provò in diversi modi a dissuadere il figlio dall'intento di prendere l'abito monastico, portandolo alle feste più importanti di Napoli (dove la famiglia si era, nel frattempo, trasferita) e presentandogli le dame più belle e facoltose della città, ma i suoi sforzi furono vani.
Tornato all'Abbazia di San Martino delle Scale e ultimato il suo discernimento vocazionale, aiutato dai superiori a ciò preposti, il 15 agosto 1840, giorno del suo ventiduesimo compleanno, emise i voti monastici nelle mani dell'abate dom Eugenio Villaragut, assumendo i nomi di Giuseppe Benedetto Maria. Due anni dopo venne ordinato sacerdote da mons. Domenico Balsamo, arcivescovo di Monreale.
Nel monastero martiniano si fece apprezzare sia per le sue abilità amministrative, sia per la sua preparazione, ma soprattutto per la sua profonda spiritualità, in un momento in cui tutti i monasteri siciliani attraversavano varie difficoltà, soprattutto dal punto di vista morale e spirituale. Dom Carlo Antonio Buglio, specialmente, ammirava il giovane monaco e, una volta eletto abate, lo volle accanto a sé come suo segretario, affinché lo aiutasse nella gestione della comunità, essendo egli affaticato a causa di una malattia, che lo affliggeva da tempo.
Insieme a Buglio, nel frattempo eletto Visitatore per la Sicilia, ebbe modo di visitare lungo il 1845 gli altri monasteri e di farsi conoscere dal confratelli che vivevano in tutta l'Isola. Fu un momento importante per il Dusmet, soprattutto in preparazione di ciò a cui sarebbe stato chiamato in seguito. Durante le visite poté farsi un'idea della situazione generale della Sicilia e di quella particolare di ogni monastero, cosicché, quando si trovò a governare egli stesso due di quei sei monasteri, aveva già le idee chiare sul cammino da intraprendere per riportare le comunità all'antico splendore spirituale.
Nel Capitolo del 1847 dom Carlo Antonio Buglio fu eletto abate dell'Abbazia di Santa Flavia in Caltanissetta, dove, nell'entroterra siciliano, viveva una piccola comunità di monaci, che combatteva sin dalla fondazione, avvenuta nel 1592, per poter ottenere il sostentamento promesso dai Moncada, fondatori del cenobio. A ciò si univa il fatto che l'esiguo numero di monaci non aveva favorito nel tempo l'attuazione esatta della Regola; vi era anzi stato un eccessivo lassismo, che accomunava questo monastero agli altri. Questo lassismo era dovuto, in larga parte, al fatto che tutti i monaci appartenevano a famiglie nobili locali, a causa della rigida legge del tempo secondo cui chi non apparteneva a una famiglia nobile non poteva essere ammesso in monastero.
L'abate Buglio, eletto per Santa Flavia, chiese di poter portare con sé due dei giovani monaci di San Martino, il Dusmet e dom Michelangelo Celesia. Il Capitolo, tuttavia, accordò che lo seguisse solo il primo con titolo di segretario, ma di fatto con funzioni di priore, non essendo stato eletto nessuno a quell'ufficio. L'abate Buglio, già stanco e ammalato, poté fare ben poco per il monastero, ma sopperì a ciò il Dusmet, facendosi apprezzare dalla comunità e dalla città, senza tuttavia sorpassare l'autorità dell'abate.
Fra coloro che ne intuirono il potenziale umano e spirituale vi fu mons. Antonino Maria Stromillo, primo vescovo della diocesi di Caltanissetta, eretta da Gregorio XVI appena tre anni prima. Anch'essa presentava le medesime difficoltà del monastero, soprattutto per una diffusa autocefalia, causata dalla secolare dipendenza dalla "lontana" sede di Agrigento, che aveva reso il presbiterio restìo ad accettare la presenza del vescovo in città e risoluto a contrastarne con tutte le forze l'autorità. Stromillo non era vecchio, ma anch'egli era afflitto da una grave forma di gotta, che gli impediva di poter essere presente come voleva e come necessitava.
Mons. Stromillo vide in Dusmet colui che avrebbe potuto aiutarlo nella difficile missione e instaurò con lui una profonda amicizia. Non di rado il vescovo saliva al monastero per passeggiare con il giovane monaco, dissertando con lui delle cose celesti e dei problemi della nascente diocesi, come testimonia nel 1889 l'allora mons. Giuseppe Giovanni Guarino: "Sono ormai otto lustri, per rendere omaggio a un santo prelato (Mons. Stromillo n.d.r.) a temprar lo spirito alle virtù, che per fin trasparivano dal sua angelico aspetto, seco passeggiavano sugli ameni Colli nisseni un illustre monaco benedettino ed un giovane chierico. In quel che ambedue beavansi della celeste favella di quel mansueto pastore [...] il chierico rimanea preso da un aer dolce e soave, che pareagli emanar dal cuore tenerissimo del benedettino, e non poté ristarsi dal legargli il suo cuore. L'impressione rimase scolpita profondamente nell'animo, né la successiva lontananza dei luoghi e la voracità del tempo valsero punto a cancellarla giammai [...]. Quel chierico ero io, e il seguace di S. Benedetto, eravate voi, eminentissimo Principe" (G. Guarino, In onore di Sua Eminenza il cardinale Dusmet, Catania 1889).
Per tre anni il Dusmet rimase a Santa Flavia come segretario, facendosi apprezzare da tutti e intessendo una rete di rapporti di amicizia e stima con molte persone, tanto che, quando nel 1850 fu destinato al Priorato nel monastero dei Santi Severino e Sossio a Napoli, a Caltanissetta popolo, clero e vescovo non celarono il loro malcontento, rivolgendosi alle più alte cariche ecclesiastiche, affinché il Dusmet fosse rimandato in città.
A Napoli, però, era atteso sia perché buona parte della sua famiglia viveva in quella città, sia perché la sua fama aveva ormai valicato i confini dell'Isola per giungere fino alla capitale del Regno borbonico. Lo stesso re conosceva la reputazione del giovane benedettino, chiamato a Napoli dagli abati per risollevare le sorti di quel monastero, che pativa le stesse mancanze degli altri, ma che risultava strategico per la Congregazione, trovandosi proprio nel cuore del Regno delle Due Sicilie.
Dei due anni a Napoli, però, poco ci è stato tramandato, sia per la brevità della sua presenza, sia per l'incompletezza del Processo di beatificazione, che si concentrò soprattutto sul periodo di Palermo e Catania. E' rimasta, in ogni caso, la memoria della lunga battaglia intrapresa dal vescovo di Caltanissetta per riavere il Dusmet in città: a tal fine non ebbe timore di scomodare le più alte cariche e di usare toni talvolta audaci per rappresentare la necessità in cui si trovava e che, dopo tristi esperienze, si era convinto di poter, se non risolvere, almeno alleviare con l'aiuto del beato. Non appena seppe della nomina, mons. Stromillo cercò di abbreviare il più possibile l'assenza del Dusmet, chiedendo dapprima che fosse autorizzato ad un'exclaustrazione temporanea per potersi dedicare al servizio totale della diocesi nissena; il progetto di Stromillo, infatti, era di nominare il Dusmet vicario generale cosicché canonicamente avesse tutte le facoltà e i poteri per agire. Ma il suo piano fallì sia perché la Congregazione cassinese già allora lamentava la scarsità di componenti e, tra di essi, la difficoltà di trovare persone idonee a ricoprire le cariche più importanti, sia perché lo stesso Dusmet non voleva lasciare il monastero. Alla fine si giunse al compromesso che al Capitolo Generale, che si sarebbe tenuto nel 1852, si sarebbe trattata la questione, cercando di venire incontro alle esigenze del vescovo. E così fu: in quel Capitolo il Dusmet fu nominato Priore Amministratore del monastero di Santa Flavia in Caltanissetta, con pieni poteri, essendo abate dom Martino Algaria, che non prese mai possesso dell'Abbazia.
Testo tratto da Giovanni Carovello Grasta, La nostra bandiera è la concordia. L'ecclesiologia del beato Giuseppe Benedetto Dusmet, arcivescovo di Catania (1867-1894), tesi di Licenza anno 2017-2018, pp. 4-8.
E' vietata la pubblicazione del testo o di parte di esso, per ottenere il permesso gratuito si può inoltrare richiesta all'amministratore del sito, specificando la motivazione e il luogo della pubblicazione.
Per approfondire si consigliano:
Il Beato Giuseppe Benedetto Dusmet nacque a Palermo il 15 agosto 1818 e fu battezzato lo stesso giorno nella Cattedrale metropolitana con ben dodici nomi, come era usanza fra le nobili famiglie del tempo. I Dusmet, infatti, di origini belga, avevano il titolo di marchesi De Smours, e vivevano da tempo a Napoli, dove godevano dell'amicizia della famiglia reale. Il padre del beato, Luigi, era capitano di vascello; la madre, Maria Dragonetti, apparteneva anch'essa a una famiglia di marchesi, di origini siciliane.
Non è secondaria l'origine nobiliare delle due famiglie, perché essa influirà non poco nella formazione del benedettino.
Fino all'età di cinque anni Melchiorre (così veniva chiamato in famiglia) visse in casa, formandosi soprattutto alla scuola della madre, donna pia e devota, dedita alla carità, tanto che casa Dusmet era diventata per i poveri della città una vera e propria mensa, in cui si poteva trovare pane e companatico ogni giorno. Dopo i cinque anni il piccolo fu accolto nel monastero di San Martino delle Scale, presso Palermo, dove erano di casa gli zii materni Luigi e Leopoldo. Nel monastero Melchiorre visse la sua infanzia e la sua adolescenza, seguendo una formazione classica e meritando il plauso dei suoi insegnanti e dei superiori.
Intorno ai 18 anni, secondo l'usanza del tempo, fu rimandato in casa, affinché l'eventuale scelta monastica potesse risultare ben ponderata. La madre era già mancata e il padre, riconoscendo le grandi capacità di Melchiorre, sperava di poterlo avviare alla carriera militare per avere un degno successore. A tal fine provò in diversi modi a dissuadere il figlio dall'intento di prendere l'abito monastico, portandolo alle feste più importanti di Napoli (dove la famiglia si era, nel frattempo, trasferita) e presentandogli le dame più belle e facoltose della città, ma i suoi sforzi furono vani.
Tornato all'Abbazia di San Martino delle Scale e ultimato il suo discernimento vocazionale, aiutato dai superiori a ciò preposti, il 15 agosto 1840, giorno del suo ventiduesimo compleanno, emise i voti monastici nelle mani dell'abate dom Eugenio Villaragut, assumendo i nomi di Giuseppe Benedetto Maria. Due anni dopo venne ordinato sacerdote da mons. Domenico Balsamo, arcivescovo di Monreale.
Nel monastero martiniano si fece apprezzare sia per le sue abilità amministrative, sia per la sua preparazione, ma soprattutto per la sua profonda spiritualità, in un momento in cui tutti i monasteri siciliani attraversavano varie difficoltà, soprattutto dal punto di vista morale e spirituale. Dom Carlo Antonio Buglio, specialmente, ammirava il giovane monaco e, una volta eletto abate, lo volle accanto a sé come suo segretario, affinché lo aiutasse nella gestione della comunità, essendo egli affaticato a causa di una malattia, che lo affliggeva da tempo.
Insieme a Buglio, nel frattempo eletto Visitatore per la Sicilia, ebbe modo di visitare lungo il 1845 gli altri monasteri e di farsi conoscere dal confratelli che vivevano in tutta l'Isola. Fu un momento importante per il Dusmet, soprattutto in preparazione di ciò a cui sarebbe stato chiamato in seguito. Durante le visite poté farsi un'idea della situazione generale della Sicilia e di quella particolare di ogni monastero, cosicché, quando si trovò a governare egli stesso due di quei sei monasteri, aveva già le idee chiare sul cammino da intraprendere per riportare le comunità all'antico splendore spirituale.
Nel Capitolo del 1847 dom Carlo Antonio Buglio fu eletto abate dell'Abbazia di Santa Flavia in Caltanissetta, dove, nell'entroterra siciliano, viveva una piccola comunità di monaci, che combatteva sin dalla fondazione, avvenuta nel 1592, per poter ottenere il sostentamento promesso dai Moncada, fondatori del cenobio. A ciò si univa il fatto che l'esiguo numero di monaci non aveva favorito nel tempo l'attuazione esatta della Regola; vi era anzi stato un eccessivo lassismo, che accomunava questo monastero agli altri. Questo lassismo era dovuto, in larga parte, al fatto che tutti i monaci appartenevano a famiglie nobili locali, a causa della rigida legge del tempo secondo cui chi non apparteneva a una famiglia nobile non poteva essere ammesso in monastero.
L'abate Buglio, eletto per Santa Flavia, chiese di poter portare con sé due dei giovani monaci di San Martino, il Dusmet e dom Michelangelo Celesia. Il Capitolo, tuttavia, accordò che lo seguisse solo il primo con titolo di segretario, ma di fatto con funzioni di priore, non essendo stato eletto nessuno a quell'ufficio. L'abate Buglio, già stanco e ammalato, poté fare ben poco per il monastero, ma sopperì a ciò il Dusmet, facendosi apprezzare dalla comunità e dalla città, senza tuttavia sorpassare l'autorità dell'abate.
Fra coloro che ne intuirono il potenziale umano e spirituale vi fu mons. Antonino Maria Stromillo, primo vescovo della diocesi di Caltanissetta, eretta da Gregorio XVI appena tre anni prima. Anch'essa presentava le medesime difficoltà del monastero, soprattutto per una diffusa autocefalia, causata dalla secolare dipendenza dalla "lontana" sede di Agrigento, che aveva reso il presbiterio restìo ad accettare la presenza del vescovo in città e risoluto a contrastarne con tutte le forze l'autorità. Stromillo non era vecchio, ma anch'egli era afflitto da una grave forma di gotta, che gli impediva di poter essere presente come voleva e come necessitava.
Mons. Stromillo vide in Dusmet colui che avrebbe potuto aiutarlo nella difficile missione e instaurò con lui una profonda amicizia. Non di rado il vescovo saliva al monastero per passeggiare con il giovane monaco, dissertando con lui delle cose celesti e dei problemi della nascente diocesi, come testimonia nel 1889 l'allora mons. Giuseppe Giovanni Guarino: "Sono ormai otto lustri, per rendere omaggio a un santo prelato (Mons. Stromillo n.d.r.) a temprar lo spirito alle virtù, che per fin trasparivano dal sua angelico aspetto, seco passeggiavano sugli ameni Colli nisseni un illustre monaco benedettino ed un giovane chierico. In quel che ambedue beavansi della celeste favella di quel mansueto pastore [...] il chierico rimanea preso da un aer dolce e soave, che pareagli emanar dal cuore tenerissimo del benedettino, e non poté ristarsi dal legargli il suo cuore. L'impressione rimase scolpita profondamente nell'animo, né la successiva lontananza dei luoghi e la voracità del tempo valsero punto a cancellarla giammai [...]. Quel chierico ero io, e il seguace di S. Benedetto, eravate voi, eminentissimo Principe" (G. Guarino, In onore di Sua Eminenza il cardinale Dusmet, Catania 1889).
Per tre anni il Dusmet rimase a Santa Flavia come segretario, facendosi apprezzare da tutti e intessendo una rete di rapporti di amicizia e stima con molte persone, tanto che, quando nel 1850 fu destinato al Priorato nel monastero dei Santi Severino e Sossio a Napoli, a Caltanissetta popolo, clero e vescovo non celarono il loro malcontento, rivolgendosi alle più alte cariche ecclesiastiche, affinché il Dusmet fosse rimandato in città.
A Napoli, però, era atteso sia perché buona parte della sua famiglia viveva in quella città, sia perché la sua fama aveva ormai valicato i confini dell'Isola per giungere fino alla capitale del Regno borbonico. Lo stesso re conosceva la reputazione del giovane benedettino, chiamato a Napoli dagli abati per risollevare le sorti di quel monastero, che pativa le stesse mancanze degli altri, ma che risultava strategico per la Congregazione, trovandosi proprio nel cuore del Regno delle Due Sicilie.
Dei due anni a Napoli, però, poco ci è stato tramandato, sia per la brevità della sua presenza, sia per l'incompletezza del Processo di beatificazione, che si concentrò soprattutto sul periodo di Palermo e Catania. E' rimasta, in ogni caso, la memoria della lunga battaglia intrapresa dal vescovo di Caltanissetta per riavere il Dusmet in città: a tal fine non ebbe timore di scomodare le più alte cariche e di usare toni talvolta audaci per rappresentare la necessità in cui si trovava e che, dopo tristi esperienze, si era convinto di poter, se non risolvere, almeno alleviare con l'aiuto del beato. Non appena seppe della nomina, mons. Stromillo cercò di abbreviare il più possibile l'assenza del Dusmet, chiedendo dapprima che fosse autorizzato ad un'exclaustrazione temporanea per potersi dedicare al servizio totale della diocesi nissena; il progetto di Stromillo, infatti, era di nominare il Dusmet vicario generale cosicché canonicamente avesse tutte le facoltà e i poteri per agire. Ma il suo piano fallì sia perché la Congregazione cassinese già allora lamentava la scarsità di componenti e, tra di essi, la difficoltà di trovare persone idonee a ricoprire le cariche più importanti, sia perché lo stesso Dusmet non voleva lasciare il monastero. Alla fine si giunse al compromesso che al Capitolo Generale, che si sarebbe tenuto nel 1852, si sarebbe trattata la questione, cercando di venire incontro alle esigenze del vescovo. E così fu: in quel Capitolo il Dusmet fu nominato Priore Amministratore del monastero di Santa Flavia in Caltanissetta, con pieni poteri, essendo abate dom Martino Algaria, che non prese mai possesso dell'Abbazia.
Testo tratto da Giovanni Carovello Grasta, La nostra bandiera è la concordia. L'ecclesiologia del beato Giuseppe Benedetto Dusmet, arcivescovo di Catania (1867-1894), tesi di Licenza anno 2017-2018, pp. 4-8.
E' vietata la pubblicazione del testo o di parte di esso, per ottenere il permesso gratuito si può inoltrare richiesta all'amministratore del sito, specificando la motivazione e il luogo della pubblicazione.
Per approfondire si consigliano:
- Giovanni Carovello Grasta, In honorem Divae Flaviae. Storia e storie dell'Abbazia di Santa Flavia in Caltanissetta dalla fondazione ai giorni nostri, Caltanissetta 2019.
- Giacomo Martina, "La situazione degli istituti religiosi in Italia intorno al 1870" in Chiesa e religiosità in Italia dopo l'unità (1861-1878). Atti del quarto Convegno di Storia della Chiesa - La Mendola 31 agosto-5 settembre 1971, Milano 1973, pp. 194-335.