La Carità
Ero indeciso se inserire la Carità del Dusmet fra i miracoli o fra gli approfondimenti, perché sono convinto che il più grande miracolo e i più grandi miracoli il Card. Dusmet li abbia compiuti con la sua Carità senza limiti.
Alla fine, declinando alle regole della logica, ho voluto inserire i racconti tra gli approfondimenti. Che siano d'esempio a tutti noi, per una rinnovata testimonianza del nostro essere Cristiani nell'Amore.
G.C.G.
redattore
Alla fine, declinando alle regole della logica, ho voluto inserire i racconti tra gli approfondimenti. Che siano d'esempio a tutti noi, per una rinnovata testimonianza del nostro essere Cristiani nell'Amore.
G.C.G.
redattore
Salvare una vita con la Carità
Nei primi di aprile del 1884 un tale Leonardo Musumeci attraversava a passi concitati, stravolto in viso, la via Vittorio Emanuele. Il Dusmet che scendeva dal punto opposto, notò lo strano rivolgimento di quell'uomo e si avvicinò per fermarlo.
- Che avete, amico?
- Monsignore, mi lasci, non ne posso più, debbo finire questa vita, penso di buttarmi in mare. Da un anno che sono stato congedato da vice brigadiere delle guardie di finanza e non mi è stato possibile impiegarmi per sostenere la famiglia. Il padrone di casa mi sfratta, non posso assistere a questo spettacolo!
- Non perdete la fiducia, buon uomo, la Provvidenza penserà.
- Ma che Provvidenza, Monsignore, io sono sul lastrico.
- Santo - fece Monsignore rivolgendosi al cameriere -, che c'è di denaro in casa?
- Monsignore, siamo al verde assolutamente!
Senza perdesi d'animo, il Dusmet, con un gesto disinvolto, staccò dal petto la catena con la croce d'oro e la pose nelle mani del povero disperato.
- Andate al Monte dei pegni e prestiti in S. Francesco e presentate questa croce per ritirare la somma che vi è necessaria, penserò io a riscattarla...
Il poveretto più confuso che cosciente, restò perplesso, ma trascinato dalla necessità, prese la croce, e via a S. Francesco.
Allo sportello presentò il pegno all'impiegato, il quale, messosi in sospetto, si fece un dovere avvisare il direttore barone di Serravalle. Questi pensando senz'altro ad un furto, assalì di domande il pover'uomo che fu costretto a raccontare la sua storia. Il direttore, che aveva già intuito, gli domandò che somma avesse di bisogno.
- 140 lire, la pigione di un anno.
- Eccovi il denaro, la croce la riporterete a Monsignore che penserà al suo comodo ad estinguere il debito.
Né si arrestò qui la carità del Dusmet verso l'infelice bisognoso. L'indomani l'Arcivescovo lo raccomandò personalmente al sindaco d'allora per un impiego. Per buona fortuna era aperto il concorso per guardie municipali e l'ex brigadiere con deliberazione della giunta comunale del 27 Aprile 1884 veniva nominato a quell'ufficio.
Il beneficato che fin da allora aveva nutrito sentimenti antireligiosi, divenne cristiano praticante e fu visto tutti i giorni frequentare la cattedrale come il più umile e più convinto dei fedeli.
Alla morte del Dusmet volle rendergli omaggio con portarne il lutto per 9 anni.
(Amadio, 216-217)
- Che avete, amico?
- Monsignore, mi lasci, non ne posso più, debbo finire questa vita, penso di buttarmi in mare. Da un anno che sono stato congedato da vice brigadiere delle guardie di finanza e non mi è stato possibile impiegarmi per sostenere la famiglia. Il padrone di casa mi sfratta, non posso assistere a questo spettacolo!
- Non perdete la fiducia, buon uomo, la Provvidenza penserà.
- Ma che Provvidenza, Monsignore, io sono sul lastrico.
- Santo - fece Monsignore rivolgendosi al cameriere -, che c'è di denaro in casa?
- Monsignore, siamo al verde assolutamente!
Senza perdesi d'animo, il Dusmet, con un gesto disinvolto, staccò dal petto la catena con la croce d'oro e la pose nelle mani del povero disperato.
- Andate al Monte dei pegni e prestiti in S. Francesco e presentate questa croce per ritirare la somma che vi è necessaria, penserò io a riscattarla...
Il poveretto più confuso che cosciente, restò perplesso, ma trascinato dalla necessità, prese la croce, e via a S. Francesco.
Allo sportello presentò il pegno all'impiegato, il quale, messosi in sospetto, si fece un dovere avvisare il direttore barone di Serravalle. Questi pensando senz'altro ad un furto, assalì di domande il pover'uomo che fu costretto a raccontare la sua storia. Il direttore, che aveva già intuito, gli domandò che somma avesse di bisogno.
- 140 lire, la pigione di un anno.
- Eccovi il denaro, la croce la riporterete a Monsignore che penserà al suo comodo ad estinguere il debito.
Né si arrestò qui la carità del Dusmet verso l'infelice bisognoso. L'indomani l'Arcivescovo lo raccomandò personalmente al sindaco d'allora per un impiego. Per buona fortuna era aperto il concorso per guardie municipali e l'ex brigadiere con deliberazione della giunta comunale del 27 Aprile 1884 veniva nominato a quell'ufficio.
Il beneficato che fin da allora aveva nutrito sentimenti antireligiosi, divenne cristiano praticante e fu visto tutti i giorni frequentare la cattedrale come il più umile e più convinto dei fedeli.
Alla morte del Dusmet volle rendergli omaggio con portarne il lutto per 9 anni.
(Amadio, 216-217)
Le Piccole Suore dei Poveri e l'Asilo di S. Agata alla Salette
Era da un pezzo che la stampa cittadina, interprete fedele dei sentimenti della intera cittadinanza, insisteva sul bisogno di accrescere e migliorare i ricoveri di mendicità per i vecchio d'ambo i sessi. La città di Catania, che di giorno in giorno s'ingrandiva con tale sviluppo da fare meraviglia, aveva bisogno di stabilimenti di carità municipali e privati, che facessero a gara nel prendere a cuore la condizione di quei poveri abbandonati. Questo bisogno intese l'animo nobile del Dusmet e maturò nella sua mente l'istituzione di un nuovo stabilimento per il ricovero dei poveri vecchi.
"Un mattino dell'agosto 1877 due suore, di passaggio a Catania, con mantello e grande cappuccio nero, si recarono all'Arcivescovado e chiesero di vedere per un momento Mons. Arcivescovo, attratte da quanto si diceva della carità e della santità della vita di lui.
- Siamo di passaggio per recarci a Malta, dissero al Prelato; ci dia la sua benedizione.
Monsignore prese conto del loro Istituto, e inteso che erano addette ad assistere e mantenere vecchi poveri d'ambo i sessi, a tutto loro carico, senza altro concorso che la casa da servire d'ospizio, soggiunse:
- Scriverò al vostro superiore, perché si apra una loro casa in Catania.
- Molto difficile, dissero le due suore, siamo ancora in poche, Ella avrà un rifiuto.
Monsignore scrisse, ma il rifiuto venne subito, rivestito di cortesia, assoluto e reciso.
Al solito, Monsignore pregò la sua Madonna e poi disse ridendo al suo segretario: scriverò una seconda lettera e vedrai" (in Ricordi Patri).
Difatti il 15 febbraio del 1878, il Dusmet ebbe un abboccamento con la buona Madre Assistente e il P. Lelievre al quale manifestò il suo pensiero: "Sono delle missionarie che io cerco nelle vostre Piccole Suore. Esse ci apporteranno quella predicazione di cui abbiamo bisogno: la fede per la carità". Subito dopo così scriveva alla Madre Generale:
"Ho fatto testè conoscenza e ho provato molto piacere col R. P. e .a R.da Madre Visitatrice ai quali ho detto che è indispendabile che le Piccole Suore dei poveri vengano subito a stabilirsi in Catania. Li ho pregato così con viva insistenza, aggiungendo che vi scriverei magari tutti i giorni, per forzare la vostra volontà.
Catania è una bella e grande città di quasi 100.000 anime, dove ci sono poche opere di carità. Le Piccole Suore faranno qui un gran bene. Al presente le autorità cittadine sono favorevoli al mio progetto e io non vorrei perdere questa occasione.
Io ho un gran difetto, manco di pazienza, divengo intollerante quando non si fa subito ciò che io desidero. Io ho detto a molta gente che le Piccole Suore verranno in maggio. Io mi chiamo Giuseppe e ho grande fiducia nel mio Santo Patrono. Ieri, quando ho parlato ai vostri inviati era mercoledì, giorno consacrato a S. Giuseppe, ed è per questo che S. GIuseppe farà tutto.
Inoltre, ieri si ono qui celebrati i funerali del nostro amatissimo S. Padre Pio IX, e ho considerato che la nostra risoluzione, presa in questo giorno, debba senza dubbio arrivare al suo scopo.
Le difficoltà che mi hanno fatto i vostri inviati invece di scoraggiarmi, m'hanno dato più forza e speranza. Ditemi dunque subito che tutto sarà fatto e voi avrete la mia piena riconoscenza".
Questa lettera fu così insistente, o meglio rivelava un cuore acceso di tale carità, che il Fondatore Le Pailleur, leggendola, disse: a simili lettere non può rispondersi con rifiuto. La buona Madre riscrisse aderendo: a maggio venturo le Piccole Suore verranno.
Difatti "La Campana" del 9 maggio del 1878 portava questa notizia: "Fra poche settimane, forse prima che spiri il maggio, avremo in mezzo a noi una nuova opera di carità cristiana, bella, tenerissima e ammirevole se altra mai, l'istituzione delle Piccole Suore dei poveri".
Il 18 maggio le Piccole Suore dei poveri fecero il loro ingresso in città e aprirono il loro Asilo intitolato a S. Agata, provvisoriamente presso il Santuario della Salette. Esso fu arredato da Monsignore che assunse l'incarico dell'affitto ei locali.
L'indomani l'apparizione delle Piccole Suore sul mercato dette l'occasione ad una bella scena di carità; il comandante delle Guardie civiche e un gruppo di notabili si fecero gli introduttori delle Piccole Suore questuanti. Raccolsero una valanga di legumi, di soldi e di elogi, ciascuno esprimendo col gesto e con la voce la contentezza d'avere finalmente un asilo per la vecchiaia.
E' molto dire che le Piccole Suore furono chiamate in Catania quando in tutta l'Italia esisteva una sola casa, in Asti; in seguito ebbero case in Napoli, in Roma, in Milano, in Messina, in Acireale. Dopo meno di un mese che era aperto il detto Asilo, "La Campana" del 6 giugno scriveva: "Siamo stati a vedere il nuovo Asilo dei vecchi poveri in Via Nostra Signora della Salette, sotto il titolo della gloriosa concittadina S. Agata. Vi abbiamo trovato ogni cosa in bell'ordine e colla massima regolarità. La casa è divisa in due corpi di fabbricato, intermezzati da un piccolo giardino".
La prima visita di Monsignore all'Asilo fu dopo il suo ritorno da Roma, nel giugno del 1878, dove egli era stato per difendere i diritti della Mensa Arcivescovile. Ecco come scrissero le suore d'allora:
"Il 14 giugno tutte le campane della città suonavano a distesa per annunziare l'arrivo del Pastore amatissimo nella città di Catania. L'indomani sull'imbrunire, Mons. Arcivescovo venne a visitare per la prima volta la nostra casa e i nostri vecchierelli. Essi lo ricevettero con tale semplicità che mostrava così bene che S. Eccellenza, il quale era padre di tutti, lo era ancora di più per questa porzione cara del suo gregge. Quando S. Eccellenza vide quella piccola famiglia schierata per riceverlo, che applaudiva per esprimere la sua gioia, ma non potè frenare le lacrime. Egli benediceva i buoni vecchierelli e sembrava volesse mettersi al loro livello, dicendo con ingenuità commossa: Se avessi a scegliere, amerei meglio essere vecchio delle Piccole Suore, che essere vescovo.
Noi profittammo della sua presenza nella nostra casa per parlargli dei nostri bisogni spirituali, de desiderio che avevamo d'avere una piccola Cappella e la presenza di Nostro Signore in mezzo a noi. Monsignore accolse la nostra richiesta. C'inviò un altare e degli operai per aggiustare e preparare tutto il necessario. Il sabato 29 giugno, festa dei SS. Pietro e Paolo, Monsignore venne a dire la prima Messa nella nostra piccola Cappella che era assai povera. Ci diede anche la benedizione del Ss.mo e ci lasciò il nostro buon Gesù. Che gioia e che consolazione pel nostro caro Asilo! Monsignore gioiva di vederci così felici. Come stava per uscire dalla casa, un povero vecchio venne a supplicarlo di farlo ammettere tra di noi. La buona Madre osservò che non aveva coperte per dargli da dormire.
Non importa, rispose il buon Pastore, e subito, tornato al palazzo, fece togliere le coperte dal suo proprio letto e le inviò per il povero vecchio".
Nell'anno 1880 "La Campana" squillava alla cittadinanza scrivendo: "L'albergo di S. Agata, aperto dalle benemerite Piccole Suore dei poveri e sostenuto esclusivamente e meravigliosamente dai soccorsi privati, forma il modello perfetto d'uno stabilimento che sia proprietà assoluta della carità privata, la quale è presso noi ben sentita e ben esercitata. Questa impresa benedetta dalla Provvidenza va innanzi con alacrità e quanto vanno a visitare ne rimangono sorpresi".
La Regina Madre nella sua visita a Catania, nel gennaio 1881, faceva rimettere nelle mani di Mons. Dusmet Lire 1500 per le Piccole Suore dei poveri. Lo stesso giorno, 16 gennaio 1881, il Dragonetti scriveva a S. Eccellenza: "Ho il piacere di rimettere all'Ecc. V. R.ma, di ordine di S.A.R. il Duca d'Aosta, Lit. 500. L'Augusto Principe desidera che disponga tale somma a favore delle Piccole Suore dei Poveri".
Nelle visite frequenti dell'Arcivescovo a quella casa che egli considerava come un moello delle opere di carità diocesane, non mancava di far sentire la sua parola calda e paterna alle Suore, stimolandole a continuare generosamente la loro opera di amore.
"Preferire uno stato umile e basso, diceva egli nelle sue conferenze spirituali, ad una condizione più lusinghiera qualunque, non è fanciullaggine, secondoché il secolo avido di piaceri, mordace e beffardo si diletta di trombettare; è al contrario saggezza cristiana, vera saggezza. Gli impieghi ragguardevoli di raro sono i migliori. Senza ambizione, senza fasto, senza splendore, senza inquietudini soverchie, senza tumide brame si arriva al pari al termine della strada, s'incontrano nel cammino minori tedi, minori pericoli, minori ambasce. La gloria terrena, di fuori vistosa, appariscente, di dentra non ha significato, è affatto vana, rassomiglia al fiore, che stanco cade, e quando più brila, allora sparisce e vien meno. Laonde è pure un vantaggio il potere esercitarsi in uffici oscuri e nondimeno onorevoli, perché l'onore consiste nella virtù".
Ma il niovo Istituto di beneficenza non poteva durare in locale d'affitto, era necessario uno stabile proprio ed a questo pensò Monsignore facendo appello alla carità pubblica e costituendo un comitato di signore e signori. I lavori pel nuovo Asilo sul terreno donato gratis dal munifico Comm. Paolo Platania, incominciarono il 27 febbraio 1881 e sino al 12 febbraio 1882 si erano incassate L. 37.000, delle quali 20.000 come prima offerta di Mons. Arcivescovo. Il 22 febbraio il Consiglio Comunale, accogliendo la domanda del comitato delle signore, deliberava un sussidio di L. 20.000. Il 20 agosto 1882 Mons. Arcivescovo benedisse la prima pietra della Chiesa del nuovo Asilo S. Agata e pronunziò un acceso discorso trattenendosi a descrivere, dinanzi ad una folla commossa, la questua delle Piccole Suore.
"Le Suore seguite da un carro modesto, tirato da un tardo giumenterello e condotto da emerito cocchiere, vanno ogni dì limosinando a uscio a uscio. Eppure senza altro soccorso, che quello della carità, senza altro domani, che quello della Provvidenza, coteste dolci mendicanti seppero organizzare nella Patria nostra il servizio della vecchiaia con quel buon senso sublime della ragion, che è il genio, con quel buon senso sublime della fede, che è la santità. Or, qual'è mai l'arte arcana, misteriosa, posta in movimento per operare tanti prodigi?
Uno è il segreto della Piccola Suora: amare, amare, amare assai. Di qui gli slanci di madre; di qui la pietà di figlia; di qui lo adempimento dei più abbietti uffici, esercitati colla pazienza della migliore massaia; di qui la delicatezza, la riserva, spinta sino allo scrupolo; di qui la riverenza profonda per gli annosi pupilli".
E rivolgendosi ai convenuti per la cerimonia, proseguiva:
"Dunque su, catanesi, allargate la mano; gettate nel cestino delle Piccole Suore l'obolo splendido ovvero umile, giusta la facoltà di ciascuno. Così nei giorni vostri malinconici, allorché vi volgerete al Signore, non udirete il terribile - via da me, immisericordiosi nell'età mia decrepita, non ebbi luogo dove posarmi, e non mi ricettaste; ma udirete dall'incontro il caro: Eccomi a voi".
In occorrenza del centenario della nascita di S. Francesco d'Assisi, Monsignore pensò di solennizzare la data memoranda con una nuova offerta di L. 3.000 per la costruzione del nuovo Asilo, dando così alla solennità il carattere di beneficenza. Parimenti pel centenario della morte di S. Teresa di Gesù, Monsignore volle aprire i festeggiamenti con un altro atto di carità facendo giungere alla commissione dell'Asilo S. Agata la somma di L. 2000. In seguito un decreto prefettizio autorizzava Monsignore Arcivescovo per una lotteria di beneficenza a pro del detto Asilo, la lotteria venne aperta il 12 novembre 1882 ai Filippini, Mons. Arcivescovo acquistò N. 1000 biglietti e li distribuì in dono ai vari Istituti di beneficenza della città e Diocesi.
"La estrazione ebbe luogo l'8 dicembre nell'atrio dell'Arcivescovado. La scala dell'Episcopio si prestò molto a diventare per un paio d'ore una bella galleria con cortine di damasco e tappeti. Il comitato delle signore promotrici si trovò al completo. Intervennero il Sindaco, il Delegato della Prefettura e molti giovani del Circolo S. Euplio, addetti a compiere, con celerità ed esattezza, le operazioni necessarie. Monsignore faceva gli onori di casa" (in La Campana).
Finalmente il 4 aprile 1883 le Piccole Suore colla famiglia dei poveri lasciavano, dopo 5 anni, gli antichi locali di via S. Maria della Salette ed andavano ad abitare il nuovo e grande Asilo di S. Agata. La festiva inaugurazione dovette sospendersi, perché Monsignore trovavasi assente a causa del terremoto Etneo, e venne trasferita al 10 giugno.
Il Cronista ci dice che quella fu una festa di quelle che si fanno una volta e non si dimenticano mai. "I saloni avevano aria, bianchezza, luce, vastità, non mancava nulla. I letti erano forniti di vaghe coperte, cucite a brani di varie stoffe, lavorate dalle Signore del Comitato. Le scale svelte, belle, e semplici. Al pranzo, l'ordine fu veramente stupendo. In due sale distinte del primo piano erano le tavole per le vecchie, e la tavola per i vecchi. Nel piano superiore erano in altre sale le tavole per i cronici d'ambo i sessi. Il concerto musicale dell'Ospizio di beneficenza allietava ora l'una mensa or l'altra. Il pranzo, a spese di Mons. Arcivescovo, fu decente e piuttosto lauto senza ricercatezze. Alla tavola delle donne servivano signore e signorine molte, a quella degli uomini Mons. Arcivescovo e altri preti e laici distinti, tra i quali sceltissimi giovanetti.
Lo stuolo numeroso degli spettatori non sapeva saziarsi di quel caro spettacolo. Si passava dalla tavola degli uomini a quella delle donne, si saliva alle mense degli infermi e si ricominciava. Sul finire del pranzo degli uomini, il Sindaco rivolse belle parole di ringraziamento a Mons. Arcivescovo per la sua generosa cooperazione a quell'opera magnifica, e di lode alle Piccole Suore, la cui vita di sacrificio forma sempre l'ammirazione, l'edificazione e la simpatia della intiera cittadinanza.
Tolte le mense, le signore del Comitato e le molte invitate convennero alla Cappella, già benedetta da Monsignore e dedicata a S. Giuseppe, addobbata con povera eleganza, e l'Arcivescovo volse loro la sua parola.
"Per il corso di 16 mesi mi aiutaste a condurre e mettere in ordine questa prima parte dell'ospizio novello. Oggi, lieto giorno della inaugurazione solenne, vi è piaciuto cingervi l'umile grembiule bianco di serventi, ministrare le scoelle, condire le vivande, arrecare i piatti, porgere la coppa ai miseri ospiti di reverenda età.
Non vi ringrazio né poco né punto; ringraziare la caritatevole amicizia è oltraggiarla, è supporre che ella avrebbe potuto comportarsi in altra guisa.
Tuttavia se mi astengo dal ringraziarvi, non mi dispenserò mai certo dall'esprimere in pubblico la gratitudine mia; il preterire cotal dovere sarebbe fallo inescusabilissimo. Laonde non indugio a significarvi quel che il cuore mi detta dentro, ed esclamo: Eccoci, mercè i vostri soccorsi, nell'albergo di Dio! Codesta esclamazione supplisce a tutto un elogio. Eccoci nell'albergo di Dio, dove ciascun cantuccio segnala una particolare vostra offerta, un vostro sacrificio generoso.
Date l'obolo ai cento meschini che menano vecchiaia tranquilla nella porzione del ricovero allestito. Costoro, benché siano in là cogli anni, - mi valgo quasi delle vive parole del celebre D. Bosco - mangiano la mattina innanzi dì, mangiano a mezzodì preciso, mangiano al salir della sera, e per quanto si faccia e si dica affin di persuaderli a respingere i pasti, non ne vogliono sapere, neppure per un giorno solo.
Date et dabitur, l'avete inteso, vanno di conserva, non si disgiungono mai. Possa questa massima d'incontestabile chiarezza non uscirvi dal pensiero!".
Nelle ore p.m. ebbe luogo la processione del Ss.mo Sacramento lungo i corridoi ed il cortile. Una suora col rosario in mano alla testa; poi la croce fra due ceroferari, poi le vecchie, poi i vecchi, tutti a due a due, con le candele accese. Talune suore sorreggevano i più svelti; si andava avanti alla meglio; ma era uno spettacolo commeventissimo. Poi seguiva il baldacchino sotto il quale il Direttore delle Suore, Rev. Lelièvre, che trovavasi di passaggio, recava il Ss.mo Sacramente, dietro erano le altre suore che cantavano il Pange Lingua, Mons. Arcivescovo teneva l'ombrellino. L'inaugurazione fu bella, commovente, completamente riuscita, ed il popolo, a sera, non sapeva andar via" (in La Campana).
Ogni anno, nel giorno di S. Giuseppe, Monsignore dava a sue spese un pranzo pei vecchi, ed era ammirevole vedere un Arcivescovo col bianco grembiule servire a mensa.
Il Dusmet spesso andava a visitare i suoi annosi bambini, come egli li chiamava. Quella per essi era la visita più cara, egli stava in mezzo a loro a discorrere, e di tanto in tanto rivolgeva all'uno o all'altro una facezia, uno scherzo semplice e affettuoso; perché, per ogni miseria, la sua bocca sapeva non solo le parole che confortano, ma anche quelle che fanno sorridere e che rianimano la fiducia nella infinita bontà del Signore.
Il grande Asilo di Catania, quantunque non completo alla morte del Dusmet, devesi in massima parte a lui; poiché su una cifra di oltre 100.000 lire, la contribuzione cittadina non giunse a 30.000; il resto fu erogato dalla sua borsa e tutta a spese sue fu costruita la grande Cappella che vigila in mezzo, stendendovi le sue ali come di madre, eccetto il pavimento per contribuzione di varie signore. Non c'è dubbio che l'Asilo S. Agata debba riguardarsi come il monumento più nobile e più insigne della carità visibile dell'Arciv. Dusmet.
Alla morte di lui fu deposta nella Cappella una lapide commemorativa.
(Amadio, 283-292)
"Un mattino dell'agosto 1877 due suore, di passaggio a Catania, con mantello e grande cappuccio nero, si recarono all'Arcivescovado e chiesero di vedere per un momento Mons. Arcivescovo, attratte da quanto si diceva della carità e della santità della vita di lui.
- Siamo di passaggio per recarci a Malta, dissero al Prelato; ci dia la sua benedizione.
Monsignore prese conto del loro Istituto, e inteso che erano addette ad assistere e mantenere vecchi poveri d'ambo i sessi, a tutto loro carico, senza altro concorso che la casa da servire d'ospizio, soggiunse:
- Scriverò al vostro superiore, perché si apra una loro casa in Catania.
- Molto difficile, dissero le due suore, siamo ancora in poche, Ella avrà un rifiuto.
Monsignore scrisse, ma il rifiuto venne subito, rivestito di cortesia, assoluto e reciso.
Al solito, Monsignore pregò la sua Madonna e poi disse ridendo al suo segretario: scriverò una seconda lettera e vedrai" (in Ricordi Patri).
Difatti il 15 febbraio del 1878, il Dusmet ebbe un abboccamento con la buona Madre Assistente e il P. Lelievre al quale manifestò il suo pensiero: "Sono delle missionarie che io cerco nelle vostre Piccole Suore. Esse ci apporteranno quella predicazione di cui abbiamo bisogno: la fede per la carità". Subito dopo così scriveva alla Madre Generale:
"Ho fatto testè conoscenza e ho provato molto piacere col R. P. e .a R.da Madre Visitatrice ai quali ho detto che è indispendabile che le Piccole Suore dei poveri vengano subito a stabilirsi in Catania. Li ho pregato così con viva insistenza, aggiungendo che vi scriverei magari tutti i giorni, per forzare la vostra volontà.
Catania è una bella e grande città di quasi 100.000 anime, dove ci sono poche opere di carità. Le Piccole Suore faranno qui un gran bene. Al presente le autorità cittadine sono favorevoli al mio progetto e io non vorrei perdere questa occasione.
Io ho un gran difetto, manco di pazienza, divengo intollerante quando non si fa subito ciò che io desidero. Io ho detto a molta gente che le Piccole Suore verranno in maggio. Io mi chiamo Giuseppe e ho grande fiducia nel mio Santo Patrono. Ieri, quando ho parlato ai vostri inviati era mercoledì, giorno consacrato a S. Giuseppe, ed è per questo che S. GIuseppe farà tutto.
Inoltre, ieri si ono qui celebrati i funerali del nostro amatissimo S. Padre Pio IX, e ho considerato che la nostra risoluzione, presa in questo giorno, debba senza dubbio arrivare al suo scopo.
Le difficoltà che mi hanno fatto i vostri inviati invece di scoraggiarmi, m'hanno dato più forza e speranza. Ditemi dunque subito che tutto sarà fatto e voi avrete la mia piena riconoscenza".
Questa lettera fu così insistente, o meglio rivelava un cuore acceso di tale carità, che il Fondatore Le Pailleur, leggendola, disse: a simili lettere non può rispondersi con rifiuto. La buona Madre riscrisse aderendo: a maggio venturo le Piccole Suore verranno.
Difatti "La Campana" del 9 maggio del 1878 portava questa notizia: "Fra poche settimane, forse prima che spiri il maggio, avremo in mezzo a noi una nuova opera di carità cristiana, bella, tenerissima e ammirevole se altra mai, l'istituzione delle Piccole Suore dei poveri".
Il 18 maggio le Piccole Suore dei poveri fecero il loro ingresso in città e aprirono il loro Asilo intitolato a S. Agata, provvisoriamente presso il Santuario della Salette. Esso fu arredato da Monsignore che assunse l'incarico dell'affitto ei locali.
L'indomani l'apparizione delle Piccole Suore sul mercato dette l'occasione ad una bella scena di carità; il comandante delle Guardie civiche e un gruppo di notabili si fecero gli introduttori delle Piccole Suore questuanti. Raccolsero una valanga di legumi, di soldi e di elogi, ciascuno esprimendo col gesto e con la voce la contentezza d'avere finalmente un asilo per la vecchiaia.
E' molto dire che le Piccole Suore furono chiamate in Catania quando in tutta l'Italia esisteva una sola casa, in Asti; in seguito ebbero case in Napoli, in Roma, in Milano, in Messina, in Acireale. Dopo meno di un mese che era aperto il detto Asilo, "La Campana" del 6 giugno scriveva: "Siamo stati a vedere il nuovo Asilo dei vecchi poveri in Via Nostra Signora della Salette, sotto il titolo della gloriosa concittadina S. Agata. Vi abbiamo trovato ogni cosa in bell'ordine e colla massima regolarità. La casa è divisa in due corpi di fabbricato, intermezzati da un piccolo giardino".
La prima visita di Monsignore all'Asilo fu dopo il suo ritorno da Roma, nel giugno del 1878, dove egli era stato per difendere i diritti della Mensa Arcivescovile. Ecco come scrissero le suore d'allora:
"Il 14 giugno tutte le campane della città suonavano a distesa per annunziare l'arrivo del Pastore amatissimo nella città di Catania. L'indomani sull'imbrunire, Mons. Arcivescovo venne a visitare per la prima volta la nostra casa e i nostri vecchierelli. Essi lo ricevettero con tale semplicità che mostrava così bene che S. Eccellenza, il quale era padre di tutti, lo era ancora di più per questa porzione cara del suo gregge. Quando S. Eccellenza vide quella piccola famiglia schierata per riceverlo, che applaudiva per esprimere la sua gioia, ma non potè frenare le lacrime. Egli benediceva i buoni vecchierelli e sembrava volesse mettersi al loro livello, dicendo con ingenuità commossa: Se avessi a scegliere, amerei meglio essere vecchio delle Piccole Suore, che essere vescovo.
Noi profittammo della sua presenza nella nostra casa per parlargli dei nostri bisogni spirituali, de desiderio che avevamo d'avere una piccola Cappella e la presenza di Nostro Signore in mezzo a noi. Monsignore accolse la nostra richiesta. C'inviò un altare e degli operai per aggiustare e preparare tutto il necessario. Il sabato 29 giugno, festa dei SS. Pietro e Paolo, Monsignore venne a dire la prima Messa nella nostra piccola Cappella che era assai povera. Ci diede anche la benedizione del Ss.mo e ci lasciò il nostro buon Gesù. Che gioia e che consolazione pel nostro caro Asilo! Monsignore gioiva di vederci così felici. Come stava per uscire dalla casa, un povero vecchio venne a supplicarlo di farlo ammettere tra di noi. La buona Madre osservò che non aveva coperte per dargli da dormire.
Non importa, rispose il buon Pastore, e subito, tornato al palazzo, fece togliere le coperte dal suo proprio letto e le inviò per il povero vecchio".
Nell'anno 1880 "La Campana" squillava alla cittadinanza scrivendo: "L'albergo di S. Agata, aperto dalle benemerite Piccole Suore dei poveri e sostenuto esclusivamente e meravigliosamente dai soccorsi privati, forma il modello perfetto d'uno stabilimento che sia proprietà assoluta della carità privata, la quale è presso noi ben sentita e ben esercitata. Questa impresa benedetta dalla Provvidenza va innanzi con alacrità e quanto vanno a visitare ne rimangono sorpresi".
La Regina Madre nella sua visita a Catania, nel gennaio 1881, faceva rimettere nelle mani di Mons. Dusmet Lire 1500 per le Piccole Suore dei poveri. Lo stesso giorno, 16 gennaio 1881, il Dragonetti scriveva a S. Eccellenza: "Ho il piacere di rimettere all'Ecc. V. R.ma, di ordine di S.A.R. il Duca d'Aosta, Lit. 500. L'Augusto Principe desidera che disponga tale somma a favore delle Piccole Suore dei Poveri".
Nelle visite frequenti dell'Arcivescovo a quella casa che egli considerava come un moello delle opere di carità diocesane, non mancava di far sentire la sua parola calda e paterna alle Suore, stimolandole a continuare generosamente la loro opera di amore.
"Preferire uno stato umile e basso, diceva egli nelle sue conferenze spirituali, ad una condizione più lusinghiera qualunque, non è fanciullaggine, secondoché il secolo avido di piaceri, mordace e beffardo si diletta di trombettare; è al contrario saggezza cristiana, vera saggezza. Gli impieghi ragguardevoli di raro sono i migliori. Senza ambizione, senza fasto, senza splendore, senza inquietudini soverchie, senza tumide brame si arriva al pari al termine della strada, s'incontrano nel cammino minori tedi, minori pericoli, minori ambasce. La gloria terrena, di fuori vistosa, appariscente, di dentra non ha significato, è affatto vana, rassomiglia al fiore, che stanco cade, e quando più brila, allora sparisce e vien meno. Laonde è pure un vantaggio il potere esercitarsi in uffici oscuri e nondimeno onorevoli, perché l'onore consiste nella virtù".
Ma il niovo Istituto di beneficenza non poteva durare in locale d'affitto, era necessario uno stabile proprio ed a questo pensò Monsignore facendo appello alla carità pubblica e costituendo un comitato di signore e signori. I lavori pel nuovo Asilo sul terreno donato gratis dal munifico Comm. Paolo Platania, incominciarono il 27 febbraio 1881 e sino al 12 febbraio 1882 si erano incassate L. 37.000, delle quali 20.000 come prima offerta di Mons. Arcivescovo. Il 22 febbraio il Consiglio Comunale, accogliendo la domanda del comitato delle signore, deliberava un sussidio di L. 20.000. Il 20 agosto 1882 Mons. Arcivescovo benedisse la prima pietra della Chiesa del nuovo Asilo S. Agata e pronunziò un acceso discorso trattenendosi a descrivere, dinanzi ad una folla commossa, la questua delle Piccole Suore.
"Le Suore seguite da un carro modesto, tirato da un tardo giumenterello e condotto da emerito cocchiere, vanno ogni dì limosinando a uscio a uscio. Eppure senza altro soccorso, che quello della carità, senza altro domani, che quello della Provvidenza, coteste dolci mendicanti seppero organizzare nella Patria nostra il servizio della vecchiaia con quel buon senso sublime della ragion, che è il genio, con quel buon senso sublime della fede, che è la santità. Or, qual'è mai l'arte arcana, misteriosa, posta in movimento per operare tanti prodigi?
Uno è il segreto della Piccola Suora: amare, amare, amare assai. Di qui gli slanci di madre; di qui la pietà di figlia; di qui lo adempimento dei più abbietti uffici, esercitati colla pazienza della migliore massaia; di qui la delicatezza, la riserva, spinta sino allo scrupolo; di qui la riverenza profonda per gli annosi pupilli".
E rivolgendosi ai convenuti per la cerimonia, proseguiva:
"Dunque su, catanesi, allargate la mano; gettate nel cestino delle Piccole Suore l'obolo splendido ovvero umile, giusta la facoltà di ciascuno. Così nei giorni vostri malinconici, allorché vi volgerete al Signore, non udirete il terribile - via da me, immisericordiosi nell'età mia decrepita, non ebbi luogo dove posarmi, e non mi ricettaste; ma udirete dall'incontro il caro: Eccomi a voi".
In occorrenza del centenario della nascita di S. Francesco d'Assisi, Monsignore pensò di solennizzare la data memoranda con una nuova offerta di L. 3.000 per la costruzione del nuovo Asilo, dando così alla solennità il carattere di beneficenza. Parimenti pel centenario della morte di S. Teresa di Gesù, Monsignore volle aprire i festeggiamenti con un altro atto di carità facendo giungere alla commissione dell'Asilo S. Agata la somma di L. 2000. In seguito un decreto prefettizio autorizzava Monsignore Arcivescovo per una lotteria di beneficenza a pro del detto Asilo, la lotteria venne aperta il 12 novembre 1882 ai Filippini, Mons. Arcivescovo acquistò N. 1000 biglietti e li distribuì in dono ai vari Istituti di beneficenza della città e Diocesi.
"La estrazione ebbe luogo l'8 dicembre nell'atrio dell'Arcivescovado. La scala dell'Episcopio si prestò molto a diventare per un paio d'ore una bella galleria con cortine di damasco e tappeti. Il comitato delle signore promotrici si trovò al completo. Intervennero il Sindaco, il Delegato della Prefettura e molti giovani del Circolo S. Euplio, addetti a compiere, con celerità ed esattezza, le operazioni necessarie. Monsignore faceva gli onori di casa" (in La Campana).
Finalmente il 4 aprile 1883 le Piccole Suore colla famiglia dei poveri lasciavano, dopo 5 anni, gli antichi locali di via S. Maria della Salette ed andavano ad abitare il nuovo e grande Asilo di S. Agata. La festiva inaugurazione dovette sospendersi, perché Monsignore trovavasi assente a causa del terremoto Etneo, e venne trasferita al 10 giugno.
Il Cronista ci dice che quella fu una festa di quelle che si fanno una volta e non si dimenticano mai. "I saloni avevano aria, bianchezza, luce, vastità, non mancava nulla. I letti erano forniti di vaghe coperte, cucite a brani di varie stoffe, lavorate dalle Signore del Comitato. Le scale svelte, belle, e semplici. Al pranzo, l'ordine fu veramente stupendo. In due sale distinte del primo piano erano le tavole per le vecchie, e la tavola per i vecchi. Nel piano superiore erano in altre sale le tavole per i cronici d'ambo i sessi. Il concerto musicale dell'Ospizio di beneficenza allietava ora l'una mensa or l'altra. Il pranzo, a spese di Mons. Arcivescovo, fu decente e piuttosto lauto senza ricercatezze. Alla tavola delle donne servivano signore e signorine molte, a quella degli uomini Mons. Arcivescovo e altri preti e laici distinti, tra i quali sceltissimi giovanetti.
Lo stuolo numeroso degli spettatori non sapeva saziarsi di quel caro spettacolo. Si passava dalla tavola degli uomini a quella delle donne, si saliva alle mense degli infermi e si ricominciava. Sul finire del pranzo degli uomini, il Sindaco rivolse belle parole di ringraziamento a Mons. Arcivescovo per la sua generosa cooperazione a quell'opera magnifica, e di lode alle Piccole Suore, la cui vita di sacrificio forma sempre l'ammirazione, l'edificazione e la simpatia della intiera cittadinanza.
Tolte le mense, le signore del Comitato e le molte invitate convennero alla Cappella, già benedetta da Monsignore e dedicata a S. Giuseppe, addobbata con povera eleganza, e l'Arcivescovo volse loro la sua parola.
"Per il corso di 16 mesi mi aiutaste a condurre e mettere in ordine questa prima parte dell'ospizio novello. Oggi, lieto giorno della inaugurazione solenne, vi è piaciuto cingervi l'umile grembiule bianco di serventi, ministrare le scoelle, condire le vivande, arrecare i piatti, porgere la coppa ai miseri ospiti di reverenda età.
Non vi ringrazio né poco né punto; ringraziare la caritatevole amicizia è oltraggiarla, è supporre che ella avrebbe potuto comportarsi in altra guisa.
Tuttavia se mi astengo dal ringraziarvi, non mi dispenserò mai certo dall'esprimere in pubblico la gratitudine mia; il preterire cotal dovere sarebbe fallo inescusabilissimo. Laonde non indugio a significarvi quel che il cuore mi detta dentro, ed esclamo: Eccoci, mercè i vostri soccorsi, nell'albergo di Dio! Codesta esclamazione supplisce a tutto un elogio. Eccoci nell'albergo di Dio, dove ciascun cantuccio segnala una particolare vostra offerta, un vostro sacrificio generoso.
Date l'obolo ai cento meschini che menano vecchiaia tranquilla nella porzione del ricovero allestito. Costoro, benché siano in là cogli anni, - mi valgo quasi delle vive parole del celebre D. Bosco - mangiano la mattina innanzi dì, mangiano a mezzodì preciso, mangiano al salir della sera, e per quanto si faccia e si dica affin di persuaderli a respingere i pasti, non ne vogliono sapere, neppure per un giorno solo.
Date et dabitur, l'avete inteso, vanno di conserva, non si disgiungono mai. Possa questa massima d'incontestabile chiarezza non uscirvi dal pensiero!".
Nelle ore p.m. ebbe luogo la processione del Ss.mo Sacramento lungo i corridoi ed il cortile. Una suora col rosario in mano alla testa; poi la croce fra due ceroferari, poi le vecchie, poi i vecchi, tutti a due a due, con le candele accese. Talune suore sorreggevano i più svelti; si andava avanti alla meglio; ma era uno spettacolo commeventissimo. Poi seguiva il baldacchino sotto il quale il Direttore delle Suore, Rev. Lelièvre, che trovavasi di passaggio, recava il Ss.mo Sacramente, dietro erano le altre suore che cantavano il Pange Lingua, Mons. Arcivescovo teneva l'ombrellino. L'inaugurazione fu bella, commovente, completamente riuscita, ed il popolo, a sera, non sapeva andar via" (in La Campana).
Ogni anno, nel giorno di S. Giuseppe, Monsignore dava a sue spese un pranzo pei vecchi, ed era ammirevole vedere un Arcivescovo col bianco grembiule servire a mensa.
Il Dusmet spesso andava a visitare i suoi annosi bambini, come egli li chiamava. Quella per essi era la visita più cara, egli stava in mezzo a loro a discorrere, e di tanto in tanto rivolgeva all'uno o all'altro una facezia, uno scherzo semplice e affettuoso; perché, per ogni miseria, la sua bocca sapeva non solo le parole che confortano, ma anche quelle che fanno sorridere e che rianimano la fiducia nella infinita bontà del Signore.
Il grande Asilo di Catania, quantunque non completo alla morte del Dusmet, devesi in massima parte a lui; poiché su una cifra di oltre 100.000 lire, la contribuzione cittadina non giunse a 30.000; il resto fu erogato dalla sua borsa e tutta a spese sue fu costruita la grande Cappella che vigila in mezzo, stendendovi le sue ali come di madre, eccetto il pavimento per contribuzione di varie signore. Non c'è dubbio che l'Asilo S. Agata debba riguardarsi come il monumento più nobile e più insigne della carità visibile dell'Arciv. Dusmet.
Alla morte di lui fu deposta nella Cappella una lapide commemorativa.
(Amadio, 283-292)
Istanti di vita
Le ultime ore e il pio transito
La Campana del 3 aprile toglieva ogni residua speranza. "In questo giorno sacro a S. Benedetto (il martedì) e alla vigilia della festa di S. Giuseppe (il mercoledì), i due Santi Patroni del nostro amatissimo Cardinale Arcivescovo, che ne porta i nomi, La Campana sperava di poter dare qualche buona notizia alla nostra cittadinanza sulla preziosa salute di Lui. Invece essa deve mestamente e laconicamente dichiarare che l'amatissimo infermo è molto più aggravato e i timori di una perdita irreparabile crescono sempre. Pare che i due gloriosi Santi preferiscano averlo presto con loro, al lasciarlo per qualche tempo ancora fra noi. La Campana non aggiunge altro"...
Fra tante commozioni, l'infermo "manteneva una inalterabile calma e una edificante pazienza, immerso nel pensiero dell'eternità, recitando giaculatorie con aspirazioni ardenti al Paradiso, raccomandandosi alle preghiere dei suoi.
La speranza dell'imminente vita eterna si alternava con il timore e il dolore dei peccati e umilmente chiedeva: Non mi lasciate in purgatorio; la responsabilità di un vescovo è grande. Signore, abbreviate il mio purgatorio, perché io possa godere presto in Paradiso".
Unica preoccupazione terrena era ancora la sua missione di carità. In un momento di vaneggiamento si rivolse al p. della Marra: Luigi, vedi là quel poveretto vestito di bianco? Gli hai dato nulla? E il segretario lo assicurava, per calmarlo, di aver provvisto a tutto.
Come si vive così si muore, aveva esclamato pochi mesi prima il cardinale Dusmet, assistendo all'agonia del suo vicario, mons. Castro.
Lo stesso si verificava ora. Era voce unanime che moriva un santo. Dal medico curante che in pubblico dichiarò: Sto curando un angelo, sono convinto che il cardinale Dusmet è un Santo, a quelli che lo paragonavano a S. Giuseppe, tanto la sua morte era quella dei giusti.
"Alle 13.30 - riferiva il Corriere di Catania del 5 aprile - S.E. le cui forze erano estremamente prostrate, fu assalito dalla febbre. Questa ringagliardì rapidamente, tanto da far temere prossima una catastrofe, Assistevano l'infermo, recitando preghiere, mons. Caff, l'Abate di Montecassino d'Orgemont, p. Marra e p. Cannata. I fratelli di S.E. erano inconsolabili, d. Postiglione, quantunque visibilmente abbattuto dalle lunghe veglie, era sempre instancabile intorno al letto dell'illustre infermo ... Alle ore 16, per prolungare di alcune ore la preziosa esistenza, si ricorse alla respirazione artificiale.
Il Sindaco, cav. Sapuppo, informato dello stato grave di S.E., corse all'arcivescovado offrendosi a mons. Caff e al p. Marra per tutto quanto potesse occorrere ... Verso le ore 20 l'agonia è divenuta più che mai angosciata. Fu sospesa la respirazione artificiale ... In queste ore estreme non rimasero che i dottori Coco e Postiglione ad assisterlo, e monsignore Caff e l'Abate di Montecassino a pregare".
"Verso le 21 - depone don Brancati - varii Salesiani ci recammo in episcopio. Ci fermammo però solamente due: don Motta Giovanni ed io già sacerdote, per passarvi la notte". Essi però rimasero nel salone che precedeva la piccola camera del cardinale con gli altri familiari ed ecclesiastici.
Così, circondato dal rappresentante della sua Chiesa e da quello di S. Benedetto, con lo sguardo fisso alla sua cara Sacra Famiglia, "spirò serenamente": erano circa le 22.30 del 4 aprile 1894, sacro quell'anno a S. Giuseppe. La sua preghiera di morire nella festa del Patriarca di Nazaret era stata ascoltata!
"Verso le 22.30 - continua don Brancati - ritornò fra noi - che eravamo nel salone - il dottore e si sedette. Noi con a capo il padre Della Marra domandammo Come sta? E l'altro: Come deve stare? sempre lo stesso - era questa la risposta che dava quando, all'allontanarsi un momento dal letto, veniva interrogato - Passò forse un minuto e poi il dottore disse: E' inutile che nasconda, il Cardinale è andato in Paradiso. Può immaginarsi lo schianto, il pianto, il dolore.
Il segretario si ritirò affranto dal dolore. Noi entrammo nella camera del defunto. Ne uscì il vescovo Caff e l'abate; noi ci fermammo col dottor Postiglione per comporre la salma. Con le lagrime agli occhi ci accingemmo all'invidiabile impresa. Eravamo tutti convinti di toccare un Santo. Gli baciai la fronte, le mani, gli chiusi la bocca con un nastro di amitto. Gli tolsi le calze che poi gli dovetti mettere di nuovo...; quello che ci colpì fu l'assoluta povertà della camera e di tutto il resto. Inutile cambiare la camicia bagnata dal sudore della morte, non ce n'era un'altra. Fu vestito con la sua logora tonaca di benedettino - non aveva detto: Occorre andare in Paradiso con l'abito di San Benedetto? - Gli si pose il rocchetto, la croce di rame e la berretta cardinalizia.
Io presi la mia corona e con essa toccai le mani del Servo di Dio. Altri mi imitarono. Il sacerdote Cosentino, lagrimando, prese anche egli la sua corona e toccando la sacra spoglia mi ripeteva: Che bella idea lei ha avuto; avremo così un ricordo perenne del nostro Cardinale, una reliquia del nostro santo.
Io però avevo una vera reliquia, perché, quando tolsi il nastro col quale avevo stretto la bocca del Servo di Dio, lo conservai come preziosa reliquia; anzi mi ricordo che presso le labbra del Servo di Dio si era formata una crosticina che si mosse e quindi fece un pò di sangue che bagnò la fettuccia.
Nel salone arcivescovile due poveri cavalletti con quattro assicelle, un materasso ed una semplice coltre, che scendendo ai lati copriva tanta estrema poverà, ecco la grande camera ardente del Cardinale Dusmet.
Con affetto e venerazione profonda vi si collocò il prezioso cadavere aggiungendovi un cuscino per porre il capo. Quattro semplici ceri completavano l'apparato. Intanto si prepararono due altarini ed io ebbi la grande ventura di celebrare per il primo la S. Messa, presente cadavere. Poi celebrò il mio confratello don Motta, indi seguirono altre Messe ai due altari". Così don Brancati.
Ma naturalmente non tutti potevano conoscere ogni particolare. Quando si dovè avvolgere la salma, non fu possibile trovare un lenzuolo. L'abate d'Orgemont, sorpreso, uscì nell'esclamazione: Un lenzuolo funebre anche data la carità e la povertà del card. Dusmet, dovrebbe trovarsi! Come per la biancheria, così per il lenzuolo, la difficoltà fu tolta in quei momenti di smarrimento doloroso dal canonico Marcenò, che andò a ritirarne presso la sua famiglia.
...
Quando la mattina del giorno 5 aprile ... s'intesero i funebri rintocchi del campanone della cattedrale ... non si può descrivere quello che allora successe... tutti piangevano, tutti i negozianti chiusero i negozi, i cocchieri si ritirarono in casa con le loro carrozze, anche i protestanti chiusero la loro chiesa evangelica, ed era comune sulle bocche di tutti l'esclamazione: E' morto, è morto il Padre, è morto il santo Cardinale.
(Leccisotti, )
Fra tante commozioni, l'infermo "manteneva una inalterabile calma e una edificante pazienza, immerso nel pensiero dell'eternità, recitando giaculatorie con aspirazioni ardenti al Paradiso, raccomandandosi alle preghiere dei suoi.
La speranza dell'imminente vita eterna si alternava con il timore e il dolore dei peccati e umilmente chiedeva: Non mi lasciate in purgatorio; la responsabilità di un vescovo è grande. Signore, abbreviate il mio purgatorio, perché io possa godere presto in Paradiso".
Unica preoccupazione terrena era ancora la sua missione di carità. In un momento di vaneggiamento si rivolse al p. della Marra: Luigi, vedi là quel poveretto vestito di bianco? Gli hai dato nulla? E il segretario lo assicurava, per calmarlo, di aver provvisto a tutto.
Come si vive così si muore, aveva esclamato pochi mesi prima il cardinale Dusmet, assistendo all'agonia del suo vicario, mons. Castro.
Lo stesso si verificava ora. Era voce unanime che moriva un santo. Dal medico curante che in pubblico dichiarò: Sto curando un angelo, sono convinto che il cardinale Dusmet è un Santo, a quelli che lo paragonavano a S. Giuseppe, tanto la sua morte era quella dei giusti.
"Alle 13.30 - riferiva il Corriere di Catania del 5 aprile - S.E. le cui forze erano estremamente prostrate, fu assalito dalla febbre. Questa ringagliardì rapidamente, tanto da far temere prossima una catastrofe, Assistevano l'infermo, recitando preghiere, mons. Caff, l'Abate di Montecassino d'Orgemont, p. Marra e p. Cannata. I fratelli di S.E. erano inconsolabili, d. Postiglione, quantunque visibilmente abbattuto dalle lunghe veglie, era sempre instancabile intorno al letto dell'illustre infermo ... Alle ore 16, per prolungare di alcune ore la preziosa esistenza, si ricorse alla respirazione artificiale.
Il Sindaco, cav. Sapuppo, informato dello stato grave di S.E., corse all'arcivescovado offrendosi a mons. Caff e al p. Marra per tutto quanto potesse occorrere ... Verso le ore 20 l'agonia è divenuta più che mai angosciata. Fu sospesa la respirazione artificiale ... In queste ore estreme non rimasero che i dottori Coco e Postiglione ad assisterlo, e monsignore Caff e l'Abate di Montecassino a pregare".
"Verso le 21 - depone don Brancati - varii Salesiani ci recammo in episcopio. Ci fermammo però solamente due: don Motta Giovanni ed io già sacerdote, per passarvi la notte". Essi però rimasero nel salone che precedeva la piccola camera del cardinale con gli altri familiari ed ecclesiastici.
Così, circondato dal rappresentante della sua Chiesa e da quello di S. Benedetto, con lo sguardo fisso alla sua cara Sacra Famiglia, "spirò serenamente": erano circa le 22.30 del 4 aprile 1894, sacro quell'anno a S. Giuseppe. La sua preghiera di morire nella festa del Patriarca di Nazaret era stata ascoltata!
"Verso le 22.30 - continua don Brancati - ritornò fra noi - che eravamo nel salone - il dottore e si sedette. Noi con a capo il padre Della Marra domandammo Come sta? E l'altro: Come deve stare? sempre lo stesso - era questa la risposta che dava quando, all'allontanarsi un momento dal letto, veniva interrogato - Passò forse un minuto e poi il dottore disse: E' inutile che nasconda, il Cardinale è andato in Paradiso. Può immaginarsi lo schianto, il pianto, il dolore.
Il segretario si ritirò affranto dal dolore. Noi entrammo nella camera del defunto. Ne uscì il vescovo Caff e l'abate; noi ci fermammo col dottor Postiglione per comporre la salma. Con le lagrime agli occhi ci accingemmo all'invidiabile impresa. Eravamo tutti convinti di toccare un Santo. Gli baciai la fronte, le mani, gli chiusi la bocca con un nastro di amitto. Gli tolsi le calze che poi gli dovetti mettere di nuovo...; quello che ci colpì fu l'assoluta povertà della camera e di tutto il resto. Inutile cambiare la camicia bagnata dal sudore della morte, non ce n'era un'altra. Fu vestito con la sua logora tonaca di benedettino - non aveva detto: Occorre andare in Paradiso con l'abito di San Benedetto? - Gli si pose il rocchetto, la croce di rame e la berretta cardinalizia.
Io presi la mia corona e con essa toccai le mani del Servo di Dio. Altri mi imitarono. Il sacerdote Cosentino, lagrimando, prese anche egli la sua corona e toccando la sacra spoglia mi ripeteva: Che bella idea lei ha avuto; avremo così un ricordo perenne del nostro Cardinale, una reliquia del nostro santo.
Io però avevo una vera reliquia, perché, quando tolsi il nastro col quale avevo stretto la bocca del Servo di Dio, lo conservai come preziosa reliquia; anzi mi ricordo che presso le labbra del Servo di Dio si era formata una crosticina che si mosse e quindi fece un pò di sangue che bagnò la fettuccia.
Nel salone arcivescovile due poveri cavalletti con quattro assicelle, un materasso ed una semplice coltre, che scendendo ai lati copriva tanta estrema poverà, ecco la grande camera ardente del Cardinale Dusmet.
Con affetto e venerazione profonda vi si collocò il prezioso cadavere aggiungendovi un cuscino per porre il capo. Quattro semplici ceri completavano l'apparato. Intanto si prepararono due altarini ed io ebbi la grande ventura di celebrare per il primo la S. Messa, presente cadavere. Poi celebrò il mio confratello don Motta, indi seguirono altre Messe ai due altari". Così don Brancati.
Ma naturalmente non tutti potevano conoscere ogni particolare. Quando si dovè avvolgere la salma, non fu possibile trovare un lenzuolo. L'abate d'Orgemont, sorpreso, uscì nell'esclamazione: Un lenzuolo funebre anche data la carità e la povertà del card. Dusmet, dovrebbe trovarsi! Come per la biancheria, così per il lenzuolo, la difficoltà fu tolta in quei momenti di smarrimento doloroso dal canonico Marcenò, che andò a ritirarne presso la sua famiglia.
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Quando la mattina del giorno 5 aprile ... s'intesero i funebri rintocchi del campanone della cattedrale ... non si può descrivere quello che allora successe... tutti piangevano, tutti i negozianti chiusero i negozi, i cocchieri si ritirarono in casa con le loro carrozze, anche i protestanti chiusero la loro chiesa evangelica, ed era comune sulle bocche di tutti l'esclamazione: E' morto, è morto il Padre, è morto il santo Cardinale.
(Leccisotti, )
D. Luigi Taddeo Della Marra, fedele segretario del Card. Dusmet
D. Luigi Taddeo Della Marra nacque a Napoli il 17 Luglio 1828, all’età di 10 anni, il 10 Giugno 1838, indossò l’abito benedettino presso il monastero di S. Nicolò l’Arena, dove rimase fino al compimento dell’anno di noviziato, e fu poi cacciato dall’Ordine, perché i monaci emisero foto negativo per la sua professione religiosa, non avendo il grado di nobiltà richiesto per appartenere a quel monastero.
Giunto l’Abate Dusmet in monastero si escogitò un modo per riammettere il giovane fra i Cassinesi e fece nominare D. Luigi canonico onorario della Collegiata, per interessamento del Can. Antonino Caff, così poté riammetterlo in monastero e il 30 Gennaio 1859 nelle sue mani, D. Luigi emise i voti solenni e in Giugno fu ordinato sacerdote da Mons. Felice Regano.
Religioso esemplare, osservò la regola monastica e subito si dimostrò di ingegno pronto e vivace e di grande e multiforme versatilità.
Fu archivista, bibliotecario, insegnante di lettere, studioso di lingue straniere e paleografia.
Sin da quando rientrò in monastero fu fedele segretario particolare del Dusmet, prima in monastero e poi in diocesi, rimanendo accanto al santo Cardinale sino al 4 Aprile 1894.
Addetto al ramo contenzioso della Curia Catanese, ebbe modo di mostrare le sue capacità e la sua sapienza in numerose cause sia contro le sette, che all’epoca imperversavano in quelle zone, sia contro gli usurpatori dei beni ecclesiastici che, con le loro ingiuste pretese sull’Asse Ecclesiastico, pretendevano di defraudare la Chiesa. Il Dusmet conosceva bene l’ingegno del segretario e non a caso lo pose a quel servizio, Catania, infatti, fu la diocesi che riuscì a riscattare la maggior parte dei beni ecclesiastici requisiti durante la soppressione.
Fu Cancelliere della Curia e riordinò l’archivio, ritrovando importantissimi documenti, di cui si sconosceva l’esistenza. Fu anche amministratore della Mensa Arcivescovile dopo D. Remigio Chiarandà.
Fu iniziatore e direttore de Il Buon Seme, organo ufficiale della Curia, che poi diverrà La Campana.
Specchio del suo maestro, il Card. Dusmet, fu uomo generoso e caritatevole, sebbene ogni tanto cercava di frenare l’infinità carità dell’Arcivescovo, per evitare che rimanesse senza nulla. Fu sempre accanto a lui, nelle gioie e nei dolori, durante le solennità e nel soccorrere i poveri e gli afflitti dalle varie calamità del tempo. Per le grandi opere di beneficenza da lui compiute, il Ministero degli Interni gli conferì la medaglia d’oro per i benemeriti della pubblica beneficenza, ma egli, passando al ritorno per Montecassino, la depose sulla tomba di san Benedetto.
Alla morte di Mons. Castro prese le funzioni di Vicario Generale sine titulo, il Dusmet confidava molto in lui, ed egli non tradì mai le aspettative del santo Pastore, essendo un fedele esecutore di quanto il Cardinale sognava nella sua profetica visione di carità.
Dopo la morte del Card. Dusmet, distrusse tutti i documenti che attestavano la carità del Beato, così come lui stesso gli aveva chiesto, e si ritirò in una cella del monastero di S. Nicolò. Da qui continuò a servire l’amato Cardinale, perpetuandone la memoria e facendo in modo che il ricordo, mai spento nel cuore dei catanesi, trovasse la giusta espressione nella propagazione della memoria delle virtù eroiche. Nel 1904 fece traslare il corpo dal cimitero alla Cattedrale, fra una folla grandiosa di persone, che attendevano da 10 anni il lieto evento. Fu anche membro del Comitato per il Congresso Regionale Cattolico di Acireale nel 1897. Organizzò solenni festeggiamenti per l’ingresso dell’Arcivescovo Francica Nava a Catania, per l’omaggio a Gesù Redentore alla fine del secolo XIX, per il pellegrinaggio giubilare a Roma nell’Anno Santo 1900, per le feste giubilari in onore di Leone XIII del 1902-1903.
Fece costruire a Nicolosi l’edicola votiva in ricordo del prodigioso arresto della lava, per intercessione di sant’Agata, il cui velo era stato lì portato in processione dal Card. Dusmet, e fu anche attivo in quella che oggi potremmo definire Pastorale Giovanile. Fu ancora segretario e direttore del Comitato per la celebrazione del Congresso Eucaristico.
Tentò in tutti i modi di far tornare i Cassinesi a Catania, ma non riuscì a causa del rifiuto degli amministratori municipali.
Fino al 1906 mantenne gli incarichi di Cancelliere, Amministratore della Mensa Arcivescovile, addetto al contenzioso e direttore dell’Opera degli Infermi Poveri a Domicilio.
Dopo di che si ritirò definitivamente nella sua abitazione e non usciva mai se non per andare a visitare la tomba del Card. Dusmet, specialmente nei giorni anniversari.
Il 6 Maggio 1911, all’età di 83 anni, circondato dagli amici, si spense, fra il dolore di tutta la città, senza distinzione di colore politico o religioso.
I funerali furono semplici, senza solennità, secondo la regola monastica, la tomba l’aveva comprata lui personalmente. Fu prima sepolto nella cappella privata della famiglia Papale, poi traslato il 7 Ottobre 1914 nella Cappella della Confraternità di Gesù, Giuseppe e Maria, distrutta durante i bombardamenti del 1915, per cui la salma fu traslata nuovamente nella cella n. 261, dietro l’altare.
Sulla lapide le scarne parole che riassumono tutta la sua vita:
P. D. Luigi Taddeo Della Marra
Cassinese
n. 17.07.1828 m. 06.05.1911
Segretario di S. Em. Dusmet
Così scriveva, rispondendo a chi gli chiedeva perché visitasse così spesso la tomba del Card. Dusmet:
“Ci vado come pubblica testimonianza del mio affetto per Lui. Ci vado, perché Esso mi rinfranchi e mi dia sempre gagliardia di spirito e gaiezza. Ci vado per confidargli, ove occorra, le mie eventuali tribolazioni, alle quali esso sempre provvede. Ci vado perché mi tenga fermo nelle linee che mi tracciò una volta, senza deragliamenti. Ci vado a pregarlo perché Egli supplisca alla mia insufficienza verso coloro che in questo scorcio laborioso di mia esistenza assunsero a mio riguardo la nobile missione di rappresentare la Provvidenza nel ne solliciti sitis di S. Matteo cap. 6 - e li assista e tuteli. Ci vado perché nessuno possa incolparmi di oblivione dei benefici ricevuti e annoverarmi nel rango dei dimentichi. Ci vado in esecuzione a quanto promisi nella mia lettera del giugno 1904 all'E.mo Nava, per recitarvi volta per volta il Nunc dimittis”.
Sarebbe auspicabile che la Chiesa Catanese, come segno di gratitudine a questo santo monaco, che per tanti anni l’ha servita, servendo il Beato Card. Dusmet, desse al suo corpo una sepoltura più degna, magari in una chiesa, magari in una di quelle fondate dal nostro amato Cardinale.
(La foto ci è stata gentilmente fornita da Elio Ambra, grande devoto del Card. Dusmet e di D. Della Marra).
Giunto l’Abate Dusmet in monastero si escogitò un modo per riammettere il giovane fra i Cassinesi e fece nominare D. Luigi canonico onorario della Collegiata, per interessamento del Can. Antonino Caff, così poté riammetterlo in monastero e il 30 Gennaio 1859 nelle sue mani, D. Luigi emise i voti solenni e in Giugno fu ordinato sacerdote da Mons. Felice Regano.
Religioso esemplare, osservò la regola monastica e subito si dimostrò di ingegno pronto e vivace e di grande e multiforme versatilità.
Fu archivista, bibliotecario, insegnante di lettere, studioso di lingue straniere e paleografia.
Sin da quando rientrò in monastero fu fedele segretario particolare del Dusmet, prima in monastero e poi in diocesi, rimanendo accanto al santo Cardinale sino al 4 Aprile 1894.
Addetto al ramo contenzioso della Curia Catanese, ebbe modo di mostrare le sue capacità e la sua sapienza in numerose cause sia contro le sette, che all’epoca imperversavano in quelle zone, sia contro gli usurpatori dei beni ecclesiastici che, con le loro ingiuste pretese sull’Asse Ecclesiastico, pretendevano di defraudare la Chiesa. Il Dusmet conosceva bene l’ingegno del segretario e non a caso lo pose a quel servizio, Catania, infatti, fu la diocesi che riuscì a riscattare la maggior parte dei beni ecclesiastici requisiti durante la soppressione.
Fu Cancelliere della Curia e riordinò l’archivio, ritrovando importantissimi documenti, di cui si sconosceva l’esistenza. Fu anche amministratore della Mensa Arcivescovile dopo D. Remigio Chiarandà.
Fu iniziatore e direttore de Il Buon Seme, organo ufficiale della Curia, che poi diverrà La Campana.
Specchio del suo maestro, il Card. Dusmet, fu uomo generoso e caritatevole, sebbene ogni tanto cercava di frenare l’infinità carità dell’Arcivescovo, per evitare che rimanesse senza nulla. Fu sempre accanto a lui, nelle gioie e nei dolori, durante le solennità e nel soccorrere i poveri e gli afflitti dalle varie calamità del tempo. Per le grandi opere di beneficenza da lui compiute, il Ministero degli Interni gli conferì la medaglia d’oro per i benemeriti della pubblica beneficenza, ma egli, passando al ritorno per Montecassino, la depose sulla tomba di san Benedetto.
Alla morte di Mons. Castro prese le funzioni di Vicario Generale sine titulo, il Dusmet confidava molto in lui, ed egli non tradì mai le aspettative del santo Pastore, essendo un fedele esecutore di quanto il Cardinale sognava nella sua profetica visione di carità.
Dopo la morte del Card. Dusmet, distrusse tutti i documenti che attestavano la carità del Beato, così come lui stesso gli aveva chiesto, e si ritirò in una cella del monastero di S. Nicolò. Da qui continuò a servire l’amato Cardinale, perpetuandone la memoria e facendo in modo che il ricordo, mai spento nel cuore dei catanesi, trovasse la giusta espressione nella propagazione della memoria delle virtù eroiche. Nel 1904 fece traslare il corpo dal cimitero alla Cattedrale, fra una folla grandiosa di persone, che attendevano da 10 anni il lieto evento. Fu anche membro del Comitato per il Congresso Regionale Cattolico di Acireale nel 1897. Organizzò solenni festeggiamenti per l’ingresso dell’Arcivescovo Francica Nava a Catania, per l’omaggio a Gesù Redentore alla fine del secolo XIX, per il pellegrinaggio giubilare a Roma nell’Anno Santo 1900, per le feste giubilari in onore di Leone XIII del 1902-1903.
Fece costruire a Nicolosi l’edicola votiva in ricordo del prodigioso arresto della lava, per intercessione di sant’Agata, il cui velo era stato lì portato in processione dal Card. Dusmet, e fu anche attivo in quella che oggi potremmo definire Pastorale Giovanile. Fu ancora segretario e direttore del Comitato per la celebrazione del Congresso Eucaristico.
Tentò in tutti i modi di far tornare i Cassinesi a Catania, ma non riuscì a causa del rifiuto degli amministratori municipali.
Fino al 1906 mantenne gli incarichi di Cancelliere, Amministratore della Mensa Arcivescovile, addetto al contenzioso e direttore dell’Opera degli Infermi Poveri a Domicilio.
Dopo di che si ritirò definitivamente nella sua abitazione e non usciva mai se non per andare a visitare la tomba del Card. Dusmet, specialmente nei giorni anniversari.
Il 6 Maggio 1911, all’età di 83 anni, circondato dagli amici, si spense, fra il dolore di tutta la città, senza distinzione di colore politico o religioso.
I funerali furono semplici, senza solennità, secondo la regola monastica, la tomba l’aveva comprata lui personalmente. Fu prima sepolto nella cappella privata della famiglia Papale, poi traslato il 7 Ottobre 1914 nella Cappella della Confraternità di Gesù, Giuseppe e Maria, distrutta durante i bombardamenti del 1915, per cui la salma fu traslata nuovamente nella cella n. 261, dietro l’altare.
Sulla lapide le scarne parole che riassumono tutta la sua vita:
P. D. Luigi Taddeo Della Marra
Cassinese
n. 17.07.1828 m. 06.05.1911
Segretario di S. Em. Dusmet
Così scriveva, rispondendo a chi gli chiedeva perché visitasse così spesso la tomba del Card. Dusmet:
“Ci vado come pubblica testimonianza del mio affetto per Lui. Ci vado, perché Esso mi rinfranchi e mi dia sempre gagliardia di spirito e gaiezza. Ci vado per confidargli, ove occorra, le mie eventuali tribolazioni, alle quali esso sempre provvede. Ci vado perché mi tenga fermo nelle linee che mi tracciò una volta, senza deragliamenti. Ci vado a pregarlo perché Egli supplisca alla mia insufficienza verso coloro che in questo scorcio laborioso di mia esistenza assunsero a mio riguardo la nobile missione di rappresentare la Provvidenza nel ne solliciti sitis di S. Matteo cap. 6 - e li assista e tuteli. Ci vado perché nessuno possa incolparmi di oblivione dei benefici ricevuti e annoverarmi nel rango dei dimentichi. Ci vado in esecuzione a quanto promisi nella mia lettera del giugno 1904 all'E.mo Nava, per recitarvi volta per volta il Nunc dimittis”.
Sarebbe auspicabile che la Chiesa Catanese, come segno di gratitudine a questo santo monaco, che per tanti anni l’ha servita, servendo il Beato Card. Dusmet, desse al suo corpo una sepoltura più degna, magari in una chiesa, magari in una di quelle fondate dal nostro amato Cardinale.
(La foto ci è stata gentilmente fornita da Elio Ambra, grande devoto del Card. Dusmet e di D. Della Marra).