Il priorato a Caltanissetta
Il ritorno del Dusmet a Caltanissetta fu un vero trionfo. Si ripeterono le stesse scene di popolare esultanza, che si erano viste all'ingresso del primo vescovo; tutti lo attendevano, certi che da lui la città e la diocesi non avrebbero avuto altro che bene. La sua missione qui assunse, per la prima volta, quelle caratteristiche che si ritroveranno poi nel suo ministero episcopale: attenzione alla persona, progetti di sviluppo spirituale e morale, azioni a sostegno dei lavoratori, assistenza ai poveri e agli infermi, coinvolgimento del clero, restaurazione della regola monastica, valorizzazione dell'identità culturale del luogo.
Come per Napoli, anche agli anni trascorsi a Caltanissetta si è prestata poca attenzione durante il Processo, non prendendo in considerazione il fatto che la piena formazione umana e spirituale del Dusmet avviene, o per lo meno si manifesta per la prima volta, propria a Caltanissetta. Solo recentemente, con l'aiuto di testimonianze dell'epoca e del ricordo rimasto nei racconti tramandati dai discendenti di chi lo aveva conosciuto, si è ricostruito questo importante periodo della sua vita.
Nei confronti della comunità monastica Dusmet adottò un metodo che potremmo definire "esplicativo", basato cioè sul dialogo, che verteva a rendere chiare le motivazioni di una regola o di un comportamento, per favorirne l'accoglienza e l'osservanza da parte dei monaci. Ciò non significa che il nuovo Priore adattasse la Regola ai monaci, né che permettesse di edulcorarla o procrastinarla; al contrario egli si dimostrava severo nel guidare la sua comunità, ma di quella severità paterna che non risulta pesante.
Dovette anche occuparsi di due urgenti questioni, che minavano la tranquillità del monastero. La prima riguardava la chiesa, dove era ceduto un lato del transetto e tutta la struttura minacciava di venir giù: egli non si lasciò spaventare, ma, chiedendo aiuto agli altri monasteri siciliani, riuscì a raccogliere una somma così alta che non solo restaurò la chiesa, ma poté anche progettare la prosecuzione dei lavori del mai terminato monastero. Il materiale avanzato, tuttavia, dovette infine essere usato per risolvere il secondo problema, cioè la presenza coatta di un distaccamento dell'esercito borbonico che, fin dal 1846, risiedeva nel corridoio meridionale del primo piano, impedendo ai monaci di usufruire dei luoghi comuni (sala capitolare, coro). Il Dusmet, avendo già chiesto lo sgombero dei locali direttamente al ministro senza alcun risultato, pensò di risolvere la questione innalzando sullo stesso lato un secondo piano per uso esclusivo dei militari.
Nel 1854 scoppiò un'epidemia di colera in tutta la Sicilia, che durò circa un anno. In quell'occasione, per la prima volta, si vide in Dusmet quello slancio di Carità, che lo porterà sugli altari. Egli non badava a pericoli e fatiche e, seguito da altri sacerdoti, religiosi e secolari, dedicherà gran parte del suo tempo ad assistere gli abbandonati infetti e ad aiutarli a morire in grazia di Dio.
Nei confronti della diocesi il Dusmet non tradì le aspettative di mons. Stromillo, dimostrandosi un attento osservatore della realtà. Punto di partenza indispensabile per risolvere gli annosi problemi, infatti, era la conoscenza delle dinamiche che si erano venute a consoldirare nel corso dei secoli all'interno del presbiterio. Egli dedicava sempre parte della sua giornata alla diocesi, o studiando o scendendo a visitare il vescovo, che viveva allora poco distante dal monastero, nella Strada dei Santi (oggi Via Re d'Italia). E la sua presenza non era mai invadente, tanto che fra gli amici più cari annoverava anche i curiali nisseni.
Con la gente intessé rapporti di profonda stima ed amicizia, non avendo che una sola preferenza, ossia i poveri, i quali saranno una costante nella vita del priore, poi dell'abate e del vescovo.
Il 7 gennaio 1858, cedendo ormai alla malattia, moriva mons. Antonino Maria Stromillo, assistito al capezzale dal priore Dusmet. Pochi mesi dopo, il 28 aprile, il Capitolo Generale promosse il Dusmet al titolo di abate, trasferendolo nel monastero di S. Nicolò l'Arena a Catania, antico e prestigioso monastero, che contava un gran numero di monaci e un ancor più grande numero di problemi.
Testo tratto da Giovanni Carovello Grasta, La nostra bandiera è la concordia. L'ecclesiologia del beato Giuseppe Benedetto Dusmet, arcivescovo di Catania (1867-1894), tesi di Licenza anno 2017-2018, pp. 8-9.
E' vietata la pubblicazione del testo o di parte di esso, per ottenere il permesso gratuito si può inoltrare richiesta all'amministratore del sito, specificando la motivazione e il luogo della pubblicazione.
Per approfondire si consigliano:
Il ritorno del Dusmet a Caltanissetta fu un vero trionfo. Si ripeterono le stesse scene di popolare esultanza, che si erano viste all'ingresso del primo vescovo; tutti lo attendevano, certi che da lui la città e la diocesi non avrebbero avuto altro che bene. La sua missione qui assunse, per la prima volta, quelle caratteristiche che si ritroveranno poi nel suo ministero episcopale: attenzione alla persona, progetti di sviluppo spirituale e morale, azioni a sostegno dei lavoratori, assistenza ai poveri e agli infermi, coinvolgimento del clero, restaurazione della regola monastica, valorizzazione dell'identità culturale del luogo.
Come per Napoli, anche agli anni trascorsi a Caltanissetta si è prestata poca attenzione durante il Processo, non prendendo in considerazione il fatto che la piena formazione umana e spirituale del Dusmet avviene, o per lo meno si manifesta per la prima volta, propria a Caltanissetta. Solo recentemente, con l'aiuto di testimonianze dell'epoca e del ricordo rimasto nei racconti tramandati dai discendenti di chi lo aveva conosciuto, si è ricostruito questo importante periodo della sua vita.
Nei confronti della comunità monastica Dusmet adottò un metodo che potremmo definire "esplicativo", basato cioè sul dialogo, che verteva a rendere chiare le motivazioni di una regola o di un comportamento, per favorirne l'accoglienza e l'osservanza da parte dei monaci. Ciò non significa che il nuovo Priore adattasse la Regola ai monaci, né che permettesse di edulcorarla o procrastinarla; al contrario egli si dimostrava severo nel guidare la sua comunità, ma di quella severità paterna che non risulta pesante.
Dovette anche occuparsi di due urgenti questioni, che minavano la tranquillità del monastero. La prima riguardava la chiesa, dove era ceduto un lato del transetto e tutta la struttura minacciava di venir giù: egli non si lasciò spaventare, ma, chiedendo aiuto agli altri monasteri siciliani, riuscì a raccogliere una somma così alta che non solo restaurò la chiesa, ma poté anche progettare la prosecuzione dei lavori del mai terminato monastero. Il materiale avanzato, tuttavia, dovette infine essere usato per risolvere il secondo problema, cioè la presenza coatta di un distaccamento dell'esercito borbonico che, fin dal 1846, risiedeva nel corridoio meridionale del primo piano, impedendo ai monaci di usufruire dei luoghi comuni (sala capitolare, coro). Il Dusmet, avendo già chiesto lo sgombero dei locali direttamente al ministro senza alcun risultato, pensò di risolvere la questione innalzando sullo stesso lato un secondo piano per uso esclusivo dei militari.
Nel 1854 scoppiò un'epidemia di colera in tutta la Sicilia, che durò circa un anno. In quell'occasione, per la prima volta, si vide in Dusmet quello slancio di Carità, che lo porterà sugli altari. Egli non badava a pericoli e fatiche e, seguito da altri sacerdoti, religiosi e secolari, dedicherà gran parte del suo tempo ad assistere gli abbandonati infetti e ad aiutarli a morire in grazia di Dio.
Nei confronti della diocesi il Dusmet non tradì le aspettative di mons. Stromillo, dimostrandosi un attento osservatore della realtà. Punto di partenza indispensabile per risolvere gli annosi problemi, infatti, era la conoscenza delle dinamiche che si erano venute a consoldirare nel corso dei secoli all'interno del presbiterio. Egli dedicava sempre parte della sua giornata alla diocesi, o studiando o scendendo a visitare il vescovo, che viveva allora poco distante dal monastero, nella Strada dei Santi (oggi Via Re d'Italia). E la sua presenza non era mai invadente, tanto che fra gli amici più cari annoverava anche i curiali nisseni.
Con la gente intessé rapporti di profonda stima ed amicizia, non avendo che una sola preferenza, ossia i poveri, i quali saranno una costante nella vita del priore, poi dell'abate e del vescovo.
Il 7 gennaio 1858, cedendo ormai alla malattia, moriva mons. Antonino Maria Stromillo, assistito al capezzale dal priore Dusmet. Pochi mesi dopo, il 28 aprile, il Capitolo Generale promosse il Dusmet al titolo di abate, trasferendolo nel monastero di S. Nicolò l'Arena a Catania, antico e prestigioso monastero, che contava un gran numero di monaci e un ancor più grande numero di problemi.
Testo tratto da Giovanni Carovello Grasta, La nostra bandiera è la concordia. L'ecclesiologia del beato Giuseppe Benedetto Dusmet, arcivescovo di Catania (1867-1894), tesi di Licenza anno 2017-2018, pp. 8-9.
E' vietata la pubblicazione del testo o di parte di esso, per ottenere il permesso gratuito si può inoltrare richiesta all'amministratore del sito, specificando la motivazione e il luogo della pubblicazione.
Per approfondire si consigliano:
- Giovanni Carovello, Eroe di Carità. Il beato Giuseppe Benedetto Dusmet a Caltanissetta (1847-1850 e 1852-1858), Caltanissetta 2007.
- Giovanni Carovello Grasta, "Il beato Dusmet a Caltanissetta (1847-1850; 1852-1858)" in: Benedictina 64 (2017), pp. 115-138.