L'Abbazia di San Martino delle Scale in Palermo
(Il Dusmet vi abitò dal 1823 al 1847)
L’Abbazia fu fondata, secondo una tradizione non documentata, da papa Gregorio nel VI secolo e poi distrutta dagli Arabi, molto più probabilmente essa risale al periodo normanno.
Di certo, fu rifondata nel 1347 da sei monaci provenienti dalla comunità di San Nicola di Nicolosi, guidati da don Angelo Sinisio, per desiderio dell’arcivescovo Emanuele Spinola.
Nel XVI secolo, la comunità cominciò ad espandersi dando origine ad un epoca di sviluppo anche architettonico; vennero riedificate la chiesa ed il primo nucleo del convento.
Vennero inoltre realizzate opere monumentali come il coro monastico, opera di artigiani Napoletani sul modello di quello di San Severino e Sossio.
La crescita continuò nel XVII secolo con l’opera degli architetti Giulio Lasso, nel 1608, che completò la chiesa e progettò il chiostro di San Benedetto, e Marino Smiriglio nel 1613.
La fontana di San Benedetto nell’omonimo chiostro è opera di Giuseppe Pampillonia, importante artista palermitano, entrato a far parte della comunità.
Numerose sono le opere di Pietro Novelli: tra le quali nel refettorio l’affresco di San Daniele nella fossa dei leoni (1609); ed in Chiesa la pala di San Benedetto che consegna la sua regola ad ordini monastici e cavallereschi.
Lo sviluppo massimo dell’abbazia si ebbe alla fine del XVIII secolo, con l’opera di Venanzio Marvuglia ed il conseguente nuovo ampliamento dei locali con la realizzazione di una nuova ala a settentrione, con un dormitorio, uno scalone imperiale in marmo rosso, decorato in stile pompeiano, ed un monumentale prospetto in direzione di Palermo..
Pregiate erano inoltre la ricca biblioteca, la quadreria, il museo di antichità, che attirarono illustri viaggiatori.
All’opera di Ignazio Marabutti si deve la famosa fontana Dell’Oreto, sotto il campanile, ed il gruppo marmoreo di San Martino, in fondo al nuovo vestibolo.
Nel 1866 e 1869 il seguito alle leggi di soppressione degli ordini religiosi la comunità fu dispersa, essa sopravvisse grazie a don Ercole Tedeschi, monaco di grande spessore spirituale e culturale.
I beni artistici vennero dispersi verso varie biblioteche e musei dell’isola.
Di certo, fu rifondata nel 1347 da sei monaci provenienti dalla comunità di San Nicola di Nicolosi, guidati da don Angelo Sinisio, per desiderio dell’arcivescovo Emanuele Spinola.
Nel XVI secolo, la comunità cominciò ad espandersi dando origine ad un epoca di sviluppo anche architettonico; vennero riedificate la chiesa ed il primo nucleo del convento.
Vennero inoltre realizzate opere monumentali come il coro monastico, opera di artigiani Napoletani sul modello di quello di San Severino e Sossio.
La crescita continuò nel XVII secolo con l’opera degli architetti Giulio Lasso, nel 1608, che completò la chiesa e progettò il chiostro di San Benedetto, e Marino Smiriglio nel 1613.
La fontana di San Benedetto nell’omonimo chiostro è opera di Giuseppe Pampillonia, importante artista palermitano, entrato a far parte della comunità.
Numerose sono le opere di Pietro Novelli: tra le quali nel refettorio l’affresco di San Daniele nella fossa dei leoni (1609); ed in Chiesa la pala di San Benedetto che consegna la sua regola ad ordini monastici e cavallereschi.
Lo sviluppo massimo dell’abbazia si ebbe alla fine del XVIII secolo, con l’opera di Venanzio Marvuglia ed il conseguente nuovo ampliamento dei locali con la realizzazione di una nuova ala a settentrione, con un dormitorio, uno scalone imperiale in marmo rosso, decorato in stile pompeiano, ed un monumentale prospetto in direzione di Palermo..
Pregiate erano inoltre la ricca biblioteca, la quadreria, il museo di antichità, che attirarono illustri viaggiatori.
All’opera di Ignazio Marabutti si deve la famosa fontana Dell’Oreto, sotto il campanile, ed il gruppo marmoreo di San Martino, in fondo al nuovo vestibolo.
Nel 1866 e 1869 il seguito alle leggi di soppressione degli ordini religiosi la comunità fu dispersa, essa sopravvisse grazie a don Ercole Tedeschi, monaco di grande spessore spirituale e culturale.
I beni artistici vennero dispersi verso varie biblioteche e musei dell’isola.
L'Abbazia di Santa Flavia in Caltanissetta
(Il Dusmet vi abitò dal 1847 al 1850 e dal 1852 al 1858)
Il monastero benedettino di S.Flavia nasce per un atto di amore di una sposa cristiana verso il suo giovane marito, morto di peste alla tenera età di 23 anni. Sulla collina più alta del piccolo borgo nisseno sorgeva da tempo una chiesa di campagna dedicata a S. Venera, il cui culto era allora assai diffuso in Sicilia. Siamo nel mese di maggio 1592. Il giovane Francesco Moncada, principe di Caltanissetta, sposo di Maria, muore di peste a Paternò. Il suo corpo venne inumato, accompagnato dal pianto inconsolabile della sposa e di tutta la popolazione nissena, nella Chiesa dei Cappuccini. La vedova volle che in onore dello sposo, a perenne memoria e a suffragiodell'anima di Francesco, fosse costruito accanto alla Chiesa di S.Venera un monastero col titolo di S.Flavia, sorella del santo, benedettino Placido. L'atto di fondazione del convento è presso l'Archivio di Stato di Caltanissetta. La bolla pontificia è del 27 agosto 1594, firmata dal papa Clemente VIII. Fu il monaco benedettino Cipriano da Piazza, confessore della principessa, a suggerirle di fare edificare il monastero benedettino di S.Flavia, dove i monaci nel susseguirsi degli anni continuarono a celebrare una messa quotidiana per l'anima del giovane principe. Donna Maria rimase chiusa nel palazzo principesco dei Moncada per tre anni e volle portare il lutto fino alla sua morte, avvenuta a Tordilaguna, in Spagna, il 2 dicembre del 1611.
Il convento benedettino fu per quasi tre secoli un punto di riferimento importante per la vita religiosa, culturale e civile della nostra città. Ebbe come abate anche il beato Dusmet. Poi, la sua chiusura il 12 Novembre del 1867 e l'allontanamento dal monastero dei pochi monaci rimasti. Fatta l'unità d'Italia, la Destra Storica esordì nel governo sopprimendo ben 13 964 enti religiosi, i cui beni vennero confiscati e messi in vendita. Il monastero di S.Flavia fu tra gli enti soppressi, divenendo prima lazzaretto, poi la Caserma Belleno e infine un rifugio per i senza tetto. Agli inizi degli anni '60 la sua struttura era ormai fatiscente. Il magnifico monumento di un tempo era ridotto a rudere pericoloso per l'incolumità pubblica e non lasciava alternative alle autorità pubbliche: o il suo abbattimento o il suo recupero, ma senza oneri di spesa per l'erario. Il parroco di allora mons.Pilato e poi i suoi due successori - i parroci Giuseppe La Greca e Luciano Castiglione - scelsero la via del recupero accollandosi un debito rilevante . Poi vennero i finanziamenti dello Stato per il completo restauro del monumento.
Si pensò ad un utilizzo per fini sociali dell'elegante struttura ed il 15 aprile 1978 venne stipulato un atto di concessione tra il Ministero delle Finanze e il parroco pro tempore per adibire a " Centro di istruzione e recupero per giovani " i locali. Il contratto prevedeva il pagamento di un indennizzo quasi simbolico . La parrocchia, per rispondere alle finalità dell'atto di concessione, non potendo svolgere la sua azione senza personale specializzato , si è servita di associazioni come L'AIAS (Associazione Italiana Assistenza Spastici), l'OAMI(Opera Assistenza Ammalati Impediti ) e Casa Famiglia Rosetta, senza fine di lucro, regolarizzando sempre non l'uso dei locali (che è della parrocchia), ma l'uso dei servizi. Lo stabile ha così accolto persone handicappate, ha aiutato giovani vite distrutte dalla droga o dall'alcool ad uscire dal tunnel della morte, ha favorito la crescita sociale, culturale e religiosa di tanti giovani. Oggi l'ex monastero rischia di non potere più svolgere i suoi compiti e di chiudere per la seconda volta. Per l'uso dei locali recentemente il Ministero delle Finanze ha chiesto alla parrocchia un indennizzo calcolato in regime di libero mercato e un recupero delle somme relative all'uso pregresso. Il parroco ha risposto invece che continui ad essere applicato il canone ridotto secondo la legge 390 del 1986,considerando la finalità educativa e sociale cui l'ex monastero è adibito. Le opere realizzate sono sotto lo sguardo di tutti. Davvero la struttura benedettina continua a sanare ferite fisiche e morali e a recuperare famiglie e giovani per l'inserimento nella vita sociale.
Il convento benedettino fu per quasi tre secoli un punto di riferimento importante per la vita religiosa, culturale e civile della nostra città. Ebbe come abate anche il beato Dusmet. Poi, la sua chiusura il 12 Novembre del 1867 e l'allontanamento dal monastero dei pochi monaci rimasti. Fatta l'unità d'Italia, la Destra Storica esordì nel governo sopprimendo ben 13 964 enti religiosi, i cui beni vennero confiscati e messi in vendita. Il monastero di S.Flavia fu tra gli enti soppressi, divenendo prima lazzaretto, poi la Caserma Belleno e infine un rifugio per i senza tetto. Agli inizi degli anni '60 la sua struttura era ormai fatiscente. Il magnifico monumento di un tempo era ridotto a rudere pericoloso per l'incolumità pubblica e non lasciava alternative alle autorità pubbliche: o il suo abbattimento o il suo recupero, ma senza oneri di spesa per l'erario. Il parroco di allora mons.Pilato e poi i suoi due successori - i parroci Giuseppe La Greca e Luciano Castiglione - scelsero la via del recupero accollandosi un debito rilevante . Poi vennero i finanziamenti dello Stato per il completo restauro del monumento.
Si pensò ad un utilizzo per fini sociali dell'elegante struttura ed il 15 aprile 1978 venne stipulato un atto di concessione tra il Ministero delle Finanze e il parroco pro tempore per adibire a " Centro di istruzione e recupero per giovani " i locali. Il contratto prevedeva il pagamento di un indennizzo quasi simbolico . La parrocchia, per rispondere alle finalità dell'atto di concessione, non potendo svolgere la sua azione senza personale specializzato , si è servita di associazioni come L'AIAS (Associazione Italiana Assistenza Spastici), l'OAMI(Opera Assistenza Ammalati Impediti ) e Casa Famiglia Rosetta, senza fine di lucro, regolarizzando sempre non l'uso dei locali (che è della parrocchia), ma l'uso dei servizi. Lo stabile ha così accolto persone handicappate, ha aiutato giovani vite distrutte dalla droga o dall'alcool ad uscire dal tunnel della morte, ha favorito la crescita sociale, culturale e religiosa di tanti giovani. Oggi l'ex monastero rischia di non potere più svolgere i suoi compiti e di chiudere per la seconda volta. Per l'uso dei locali recentemente il Ministero delle Finanze ha chiesto alla parrocchia un indennizzo calcolato in regime di libero mercato e un recupero delle somme relative all'uso pregresso. Il parroco ha risposto invece che continui ad essere applicato il canone ridotto secondo la legge 390 del 1986,considerando la finalità educativa e sociale cui l'ex monastero è adibito. Le opere realizzate sono sotto lo sguardo di tutti. Davvero la struttura benedettina continua a sanare ferite fisiche e morali e a recuperare famiglie e giovani per l'inserimento nella vita sociale.
L'Abbazia dei Santi Severino e Sossio in Napoli
(Il Dusmet vi abitò dal 1850 al 1852)
Il complesso fu fondato nel IX secolo, quando le incursioni saracene spinsero i frati ad abbandonare il vecchio monastero, situato sulla collina di Pizzofalcone, e fondarne uno nuovo nell‟ 846 insieme ad una piccola chiesa nella quale, nel 902, furono trasportate le reliquie di san Severino; nel 904 vi trasferirono le reliquie di san Sossio, compagno di martirio di san Gennaro, rinvenute da alcuni monaci tra i ruderi del castello di Miseno, che era andato distrutto nell‟ 885. Da tale data in poi, la chiesa e il monastero presero la denominazione dei due santi.
Distrutto una prima volta, fu ricostruito nella seconda metà del XII secolo: di questo intervento restano labili tracce nella chiesa inferiore, nuovamente rifatta nel XVI secolo.
Scarne sono le notizie sulla fondazione e la costruzione della chiesa: tutti gli studi svolti hanno, infatti, attinto quasi sempre per le vicende e le date più importanti da fonti settecentesche dove si legge:"nell‟anno 1494 Alfonso II d‟Aragona donò al monastero 15.000 ducati per la fabbrica della nuova chiesa L‟architetto fu Giovan Francesco Mormando di Palma."
Anche se la fondazione è stata sempre posta in relazione con la donazione di Alfonso II d‟Aragona, alcune fonti considerano il 1490 e non 1494 l‟anno d‟inizio della costruzione. I lavori interrotti nei primissimi anni del '500, se non alla fine del '400, ricominciarono nel 1537. Le notizie pervenute non consentono di stabilire in che condizioni si trovasse la fabbrica nel momento dell‟interruzione dei lavori e prima che questi ricominciassero. Aver potuto usufruire di tale informazione sarebbe stato di notevole supporto per attribuire una paternità certa dell‟opera. Secondo la più accreditata tradizione, fu chiamato quale architetto della fabbrica l‟architetto organaro Giovanni Donadio. Quando iniziarono nuovamente i lavori interrotti in precedenza, Donadio era già morto da alcuni anni (probabilmente intorno al 1525) e Giovanni Francesco Di Palma, suo genero, conosciuto anche lui col nome di Mormando, fu chiamato, quale architetto della fabbrica, a completare i lavori iniziati dal suocero. Va comunque specificato, a ragion del vero, che tale interpretazione non trova riscontri certi e confermati dalla storiografia ufficiale e numerose sono le dissertazioni in merito. Nel1560 si stipulava il contratto per il coro ligneo con Benvenuto Tortelli e Bartolomeo Chiarini, mentre l‟anno successivo l‟architetto fiorentino Sigismondo di Giovanni ebbe l‟incarico di costruire la cupola. Nel 1566 fu dato incarico a Paolo Schepers, detto il Fiammingo, di affrescarla. Documentazioni limitate sono poi pervenute per i lavori compiuti all‟interno della chiesa durante il XVI secolo. Quelli di maggiore impegno riguardano la decorazione della volta della navata e del transetto, che nel 1609 i benedettini affidarono a Belisario Corenzio, e la zona del presbiterio, in occasione dei quali Cosimo Fanzago disegnò il ricchissimo altare maggiore e la balaustra in marmi policromi, completata nel 1640. Nel 1658 fu completato il bel pavimento marmoreo del coro.
Giovan Battista Nauclerio, quale architetto dei monaci, si occupò dal 1715 al 1738, di controllare le opere all‟interno della chiesa; è possibile attribuirgli la ristrutturazione interna della vasta aula, nella quale di certo, fu rifatta, oltre alla volta, crollata in seguito al terremoto del 1731, tutta la parete superiore. L‟ultimo intervento impegnativo, intrapreso verso la fine del settecento, fu il rifacimento dell‟altare maggiore, concluso nel 1783, ad opera del maestro marmoraro Giacomo Mazzotti. Da questo periodo in poi, non si hanno altre notizie d‟interventi sostanziali sulla chiesa se non quelli che interessarono parti del complesso dei SS. Severino e Sossio, in occasione dei restauri eseguiti tra il 1849 al 1853 e, saltuariamente, fino al 1863 su progetto dell‟arch. Ercole Lauria e in seguito, quelli che interessarono parte del suo contesto urbano, in occasione dei lavori del Piano di Risanamento, dopo il 1884.
Distrutto una prima volta, fu ricostruito nella seconda metà del XII secolo: di questo intervento restano labili tracce nella chiesa inferiore, nuovamente rifatta nel XVI secolo.
Scarne sono le notizie sulla fondazione e la costruzione della chiesa: tutti gli studi svolti hanno, infatti, attinto quasi sempre per le vicende e le date più importanti da fonti settecentesche dove si legge:"nell‟anno 1494 Alfonso II d‟Aragona donò al monastero 15.000 ducati per la fabbrica della nuova chiesa L‟architetto fu Giovan Francesco Mormando di Palma."
Anche se la fondazione è stata sempre posta in relazione con la donazione di Alfonso II d‟Aragona, alcune fonti considerano il 1490 e non 1494 l‟anno d‟inizio della costruzione. I lavori interrotti nei primissimi anni del '500, se non alla fine del '400, ricominciarono nel 1537. Le notizie pervenute non consentono di stabilire in che condizioni si trovasse la fabbrica nel momento dell‟interruzione dei lavori e prima che questi ricominciassero. Aver potuto usufruire di tale informazione sarebbe stato di notevole supporto per attribuire una paternità certa dell‟opera. Secondo la più accreditata tradizione, fu chiamato quale architetto della fabbrica l‟architetto organaro Giovanni Donadio. Quando iniziarono nuovamente i lavori interrotti in precedenza, Donadio era già morto da alcuni anni (probabilmente intorno al 1525) e Giovanni Francesco Di Palma, suo genero, conosciuto anche lui col nome di Mormando, fu chiamato, quale architetto della fabbrica, a completare i lavori iniziati dal suocero. Va comunque specificato, a ragion del vero, che tale interpretazione non trova riscontri certi e confermati dalla storiografia ufficiale e numerose sono le dissertazioni in merito. Nel1560 si stipulava il contratto per il coro ligneo con Benvenuto Tortelli e Bartolomeo Chiarini, mentre l‟anno successivo l‟architetto fiorentino Sigismondo di Giovanni ebbe l‟incarico di costruire la cupola. Nel 1566 fu dato incarico a Paolo Schepers, detto il Fiammingo, di affrescarla. Documentazioni limitate sono poi pervenute per i lavori compiuti all‟interno della chiesa durante il XVI secolo. Quelli di maggiore impegno riguardano la decorazione della volta della navata e del transetto, che nel 1609 i benedettini affidarono a Belisario Corenzio, e la zona del presbiterio, in occasione dei quali Cosimo Fanzago disegnò il ricchissimo altare maggiore e la balaustra in marmi policromi, completata nel 1640. Nel 1658 fu completato il bel pavimento marmoreo del coro.
Giovan Battista Nauclerio, quale architetto dei monaci, si occupò dal 1715 al 1738, di controllare le opere all‟interno della chiesa; è possibile attribuirgli la ristrutturazione interna della vasta aula, nella quale di certo, fu rifatta, oltre alla volta, crollata in seguito al terremoto del 1731, tutta la parete superiore. L‟ultimo intervento impegnativo, intrapreso verso la fine del settecento, fu il rifacimento dell‟altare maggiore, concluso nel 1783, ad opera del maestro marmoraro Giacomo Mazzotti. Da questo periodo in poi, non si hanno altre notizie d‟interventi sostanziali sulla chiesa se non quelli che interessarono parti del complesso dei SS. Severino e Sossio, in occasione dei restauri eseguiti tra il 1849 al 1853 e, saltuariamente, fino al 1863 su progetto dell‟arch. Ercole Lauria e in seguito, quelli che interessarono parte del suo contesto urbano, in occasione dei lavori del Piano di Risanamento, dopo il 1884.
L'Abbazia di San Nicolò l'Arena in Catania
(Il Dusmet vi abitò dal 1858 al 1867)
Intorno la seconda metà del XII secolo, sulle pendici dell'Etna venne eretta una cappella e un ricovero per i monaci infermi dei vicini monasteri di Santa Maria di Licodia e San Leone di colle Pannacchio nei pressi di Paternò. In seguito alla nascita di alcuni cenobi vicini e per volere di Federico III di Aragona vi si costruì il monastero che venne costituito sede principale dei cenobi prendendo la denominazione di San Nicolò la Rena per la devozione dei monaci al santo e per la caratteristica terra sabbiosa (rena) che ricopriva la zona.
Il monastero negli anni si espanse divenendo méta di numerosi pellegrini e della stessa regina Eleonora d'Angiò. Dal monastero prenderà il nome il paese di Nicolosi.
Nella prima metà del XVI secolo una eruzione e i pericoli derivate dalle incursioni di numerose bande di briganti spinsero i monaci a richiedere il trasferimento a Catania dove fondarono il nuovo monastero di San Nicolò l'Arena.
Dal marzo del 2005 l'antico monastero etneo ristrutturato è sede dell'Ente Parco dell'Etna.
Il monastero fondato nel XVI secolo a Catania è stato per anni considerato il secondo più grande in Europa dopo quello di Mafra in Portogallo. Tuttavia, conteggiando la superficie della chiesa annessa e dei locali delle cucine recentemente scoperti, si può ormai considerare il più grande in Europa. Venne iniziato nel 1558 e inaugurato, ancora incompleto, nel 1578, alla presenza del viceré di Sicilia Giovanni Della Cerda.
Nel 1669 una delle eruzioni più devastanti dell'Etna raggiunse il monastero distruggendo la piccola chiesa costruita alla fine del secolo precedente. In seguito ai danni dell'eruzione i benedettini diedero vita ad un'imponente opera di ristrutturazione e completamento, contemporaneamente iniziò il progetto per la costruzione della monumentale chiesa di San Nicola, che venne iniziata nel 1687 su progetto dell'architetto romano Giovan Battista Contini.
L'11 gennaio 1693 il terremoto che distrusse quasi interamente la città di Catania provocò anche la rovina di buona parte del monastero benedettino; perirono più della metà dei circa 50 monaci. Le strutture della chiesa, ancora in corso di costruzione furono risparmiate, ma i lavori furono interrotti per circa vent'anni.
In seguito all'eruzione lavica e al terremoto gli ordini monastici catanesi, in risposta allo sconforto della popolazione, si impegnarono nell'edificazione di grandi opere monumentali. In questo contesto, nacque il nuovo progetto del monastero. ripensato in stile barocco. La costruzione del nuovo monastero iniziò nel 1703 sotto la guida di diversi architetti. Il progetto, rimasto incompleto, prevedeva la costruzione di due grandi chiostri intorno alla chiesa, sulle rovine dell'antico monastero distrutto.
Fu ripresa inoltre, ad opera di Francesco Battaglia e Giovanni Battista Vaccarini, la costruzione della chiesa, proseguita quindi da Stefano Ittar con la costruzione della cupola nel 1780. Il prospetto rimase tuttavia incompiuto, a causa di difficoltà tecniche ed economiche, ed ancora oggi vi campeggiano due coppie di colonne tronche.
All'interno dell'edificio si trova il più grande organo della Sicilia costruito dal campano Donato Del Piano nel XVIII secolo e recentemente restaurato, ed una meridiana lunga 39 metri, realizzata nel 1839, lungo la quale sono raffigurati i simboli dello zodiaco.
Il monastero benedettino è oggi sede della Facoltà di Lettere dell'Università di Catania.
Il monastero negli anni si espanse divenendo méta di numerosi pellegrini e della stessa regina Eleonora d'Angiò. Dal monastero prenderà il nome il paese di Nicolosi.
Nella prima metà del XVI secolo una eruzione e i pericoli derivate dalle incursioni di numerose bande di briganti spinsero i monaci a richiedere il trasferimento a Catania dove fondarono il nuovo monastero di San Nicolò l'Arena.
Dal marzo del 2005 l'antico monastero etneo ristrutturato è sede dell'Ente Parco dell'Etna.
Il monastero fondato nel XVI secolo a Catania è stato per anni considerato il secondo più grande in Europa dopo quello di Mafra in Portogallo. Tuttavia, conteggiando la superficie della chiesa annessa e dei locali delle cucine recentemente scoperti, si può ormai considerare il più grande in Europa. Venne iniziato nel 1558 e inaugurato, ancora incompleto, nel 1578, alla presenza del viceré di Sicilia Giovanni Della Cerda.
Nel 1669 una delle eruzioni più devastanti dell'Etna raggiunse il monastero distruggendo la piccola chiesa costruita alla fine del secolo precedente. In seguito ai danni dell'eruzione i benedettini diedero vita ad un'imponente opera di ristrutturazione e completamento, contemporaneamente iniziò il progetto per la costruzione della monumentale chiesa di San Nicola, che venne iniziata nel 1687 su progetto dell'architetto romano Giovan Battista Contini.
L'11 gennaio 1693 il terremoto che distrusse quasi interamente la città di Catania provocò anche la rovina di buona parte del monastero benedettino; perirono più della metà dei circa 50 monaci. Le strutture della chiesa, ancora in corso di costruzione furono risparmiate, ma i lavori furono interrotti per circa vent'anni.
In seguito all'eruzione lavica e al terremoto gli ordini monastici catanesi, in risposta allo sconforto della popolazione, si impegnarono nell'edificazione di grandi opere monumentali. In questo contesto, nacque il nuovo progetto del monastero. ripensato in stile barocco. La costruzione del nuovo monastero iniziò nel 1703 sotto la guida di diversi architetti. Il progetto, rimasto incompleto, prevedeva la costruzione di due grandi chiostri intorno alla chiesa, sulle rovine dell'antico monastero distrutto.
Fu ripresa inoltre, ad opera di Francesco Battaglia e Giovanni Battista Vaccarini, la costruzione della chiesa, proseguita quindi da Stefano Ittar con la costruzione della cupola nel 1780. Il prospetto rimase tuttavia incompiuto, a causa di difficoltà tecniche ed economiche, ed ancora oggi vi campeggiano due coppie di colonne tronche.
All'interno dell'edificio si trova il più grande organo della Sicilia costruito dal campano Donato Del Piano nel XVIII secolo e recentemente restaurato, ed una meridiana lunga 39 metri, realizzata nel 1839, lungo la quale sono raffigurati i simboli dello zodiaco.
Il monastero benedettino è oggi sede della Facoltà di Lettere dell'Università di Catania.