Questa pagina contiene vari miracoli concessi dal Signore in vita e dopo la morte del Card. Dusmet
ll miracolo della lava
Tratto da testo anonimo.
C’è uno stretto legame fra il Beato Cardinale Dusmet ed il popolo di Nicolosi che in diverse occasioni, e soprattutto durante i giorni di difficoltà e di dolore nel corso dell’eruzione del 1886, ha avvertito forte il conforto della parola di santità del Cardinale ed i benefici della Sua grande bontà e disponibilità. L’eruzione ebbe inizio nella notte tra il 18 e il 19 maggio 1886 preceduta da un fortissimo terremoto da una fenditura apertasi a dodici chilometri da Nicolosi . Le bocche erano due; dalla prima fuoriuscivano gas, cenere, lapilli e grossi macigni che formarono il monte Gemmellaro, così denominato in omaggio al celebre vulcanologo nativo di Nicolosi; dall’altra sgorgava il magma a forte velocità tanto che in 24 ore percorse due chilometri. Nello stesso giorno 19 Dusmet raggiunse Nicolosi dove gli abitanti lo attendevano numerosi; in piazza venne allestita una capanna-cappella dove l’Arcivescovo celebrò la S. Messa, la sera andò a pernottare a Pedara. E ogni giorno tornava a Nicolosi a confortare con la sua parola i cittadini che incontrava e confessava seduto sulla gradinata della Chiesa Madre. La sera del 23 maggio arriva in paese la triste notizia che sulla colata già vicina al Monte San Leo avanzava rapidissimo un nuovo torrente di lava. La notizia si propaga repentina e si diffonde ovunque; la popolazione si riversa sulle strade agitata, costernatissima; corre alle chiese e, levatene le statue dei Santi Protettori, le porta in processione fino ai Tre Altarelli. Un giornalista, Bernardo Gentile-Cusa, che seguì tutta l’eruzione e ne ha lasciato un’ampia cronaca, scrive di questo episodio:" Vivessi mille anni io non potrò mai dimenticare quella lugubre scena. Centinaia e centinaia di persone strette attorno ai simulacri si vedano al chiarore dei ceri e delle fiaccole agitarsi in mezzo all’oscurità. Non si udivano grida o schiamazzi, ma singhiozzi, pianto mal trattenuto, sommesso e commosso mormorio di fervide preghiere; e a vedere tutto quel popolo in preda allo sgomento, affranto dal dolore, colla disperazione sul volto, eppure così pieno di fede nell’intervento di un essere supremo è scosso anche l’animo nostro e invidiamo a quella gente semplice la fede che crede e non ragiona, quella fede che manca a noi". La lava continuava a scendere e così nel pomeriggio del giorno seguente, lunedì 24 maggio, l’Arcivescovo Dusmet tornò a Catania e trasportò egli stesso a Nicolosi la Reliquia del Velo di S.Agata. Seguiamo il racconto di don Gaetano Amadio che nel 1928 scrisse la completa biografia del Santo Cardinale: "Alle porte del paese tutti gli abitanti stavano ad attendere. Quando il Sacro Velo giunse e mons. Arcivescovo lo presentò al popolo, questi alzò alte grida invocando aiuto dalla martire catanese. Prima che si formasse il pellegrinaggio, monsignore rivolse queste parole: "Figli miei, in quest’ora solenne Nicolosi è in preda allo spavento e al terrore. Vi esorto a pregare la nostra eroina S.Agata . non temete! Ho tanta fiducia in S. Agata che Nicolosi sarà salvo. Venite tutti ad accompagnare il taumaturgoVelo sul luogo dell’eruzione e là genuflessi supplicheremo S.Agata per la cessazione del fuoco e per la salvezza della patria". Il corteo si improvvisò subito ordinato e commosso, con a capo Mons. Dusmet che portava devotamente il S. Velo e si fermò a poca distanza dal torrente di lava, lì dove ancora oggi una Cappella votiva segna il posto preciso; il popolo cantò le litanie, poi Monsignore a voce alta recitò la seguente preghiera: - O gloriosa Vergine e Martire S. Agata, genuflessi ai vostri piedi vi supplichiamo di venire in nostro aiuto. Invocate dal cielo pietà verso di noi minacciati da tanto flagello; stendete il vostro braccio, impedite che la lava prolunghi il suo corso e fate che cessi l’eruzione che minaccia questo lembo della vostra diocesi. O S. Agata prostrati ai vostri piedi, ci abbandoniamo come deboli figli tra le braccia della più tenera tra le madri e da Voi aspettiamo la liberazione da tanta sventura. - Per tre volte Monsignore benedisse col Sacro Velo quel monte di fuoco e riconfermò la sua fiducia nel miracolo che domandava a Dio in favore del suo popolo". Il pericolo non sembrava però diminuire; l’Arcivescovo si stabilì definitivamente a Nicolosi. Passava talvolta la notte intera su una poltrona del casino dei civili, sostenendosi con una semplice tazza di caffè, per essere sempre pronto alle richieste degli sventurati. La mattina celebrava la Messa, confessava, prendeva conoscenza del progresso della lava, veniva in soccorso di coloro che lasciavano le case, trascinandosi dietro le masserizie, i vini, le botti ed anche porte e finestre. Simile condotta teneva a Pedara quando si trovava lì o vi pernottava. Giovedì 27 maggio si aprì uno spiraglio di speranza: la salvezza dei Tre Altarelli. Anche stavolta seguiamo il racconto di don Gaetano Amadio: " Si avverò un prodigio che accese un raggio di speranza nel cuore di quelle disperate popolazioni. Già allo spuntare del giorno il braccio diretto agli Altarelli aveva quasi raggiunto l’oratorio. Una diramazione a fronte strettissimo, che partiva dal tronco principale, lo minacciava direttamente ed ormai così da vicino che nessuno si faceva illusione che l’investimento non fosse inevitabile ed imminente. Però contro ogni previsione, il braccio di lava minacciante gli Altarelli, arrivato a pochi metri di distanza da essi , rallentò ancora il suocammino già poco veloce , e crebbe di altezza quasi che si preparasse a superare la piccola prominenza su cui è posto l’oratorio; poi, quando i presenti si aspettavano l’investimento, fu visto partirsi dal fianco l’inizio di una diramazione laterale, che per le condizioni altimetriche favorevoli cominciò a scorrere verso est, chiamandosi la massa delle lave fluenti, la quale si diresse verso la valle di San Nicolò l’Arena lasciando incolume del tutto l’oratorio; e fu realmente uno strano effetto vedere la piccole mole di quel fabbricato risparmiato dalla enorme massa di lava, che lo lambì senza annientarlo. A questo fatto il popolo anticipò i suoi giudizi, allargò le sue speranze, ravvivò la sua fede, gridò al miracolo: - La lava come non ha osato toccare le immagini dei Santi agli Altarelli, molto meno toccherà le chiese di Nicolosi, piene ed adorne di quelle immagini. Per le Chiese Nicolosi sarà salvo".E il giorno dopo, venerdì 28 maggio, i nicolositi portarono ancora la statua di S. Antonio Abate davanti al fronte lavico, proprio sul posto dove oggi sorge l’altarino votivo che segna il limite massimo raggiunto dalla lava e dove ogni anno viene condotta la statua di S. Antonio in occasione della festa. Il mattino del 30 maggio la situazione era ancora peggiorata ed ormai nessuno si faceva illusioni sulla sorte di Nicolosi. Venne così pubblicata l’ordinanza del Prefetto che fissava per le ore 12 del 31 maggio lo sgombero del paese.
Diceva tale ordinanza:
Il Prefetto della Provincia per evitare disastri che sarebbero inevitabili qualora la lava invadendo il paese facesse scoppiare le cisterne
o r d i n a
che alle ore 12 del giorno d’oggi l’abitato di Nicolosi sia completamente sgombrato d’ogni persona. La truppa formerà un cordone attorno all’abitato nel raggio di un chilometro. Quelli che non volessero sgombrare vi saranno costretti con la forza.
Dalla pubblicazione della presente nessun estraneo al Comune potrà entrare nell’abitato. L’ora indicata per lo sgombro sarà annunciata alla popolazione a squillo di tromba e colle campane.
A Nicolosi 31 maggio 1886. Il Prefetto Millo".
E seguiamo la cronaca di Gentile-Cusa dello sgombero del paese:
"Pubblicata l’ordinanza prefettizia a Nicolosi era tutto squallore e tristezza. Poche case ancora abitate; le altre completamente vuote e abbandonate, e lo manifestavano all’esterno perché prive di imposte, svaligiate, senza parapetti ai balconi e alcune persino senza stipiti di pietra alle apertura. In piazza si commentava con vivacità l’ordinanza prefettizia: generalmente si giudicava come opportuna e saggia; c’era però chi la stimava prematura e chi parendogli affatto ingiustificata minacciava di volergli resistere. Alle 12 in punto il presidio militare di fanteria e reali carabinieri, dato il segnale convenuto di uno squillo di tromba, percorrendo le vie, diede inizio a sgomberare il paese. Le campane delle sei chiese di Nicolosi davano anch’esse il triste annuncio che l’ora del doloroso distacco era suonata. La popolazione, quantunque preparata a quel suono, fu vinta allora da un irrefrenabile impeto di commozione e piangendo rifluì in piazza dove si trovavano raccolti non solo gli abitanti di Nicolosi ma anche quelli di Pedara e di altri paesi vicini. E là, dinnanzi ad un popolo soggiogato dalla solennità di quel momento supremo di dolore, l’Arcivescovo rivolto alla folla pronunziò poche ed opportune parole di rassegnazione e di conforto, invitando i fedeli a lasciare ordinatamente il paese senza disperare dell’aiuto divino che, commosso dalla fede del suo popolo, avrebbe potuto impedire ancora la distruzione del paese.E poco dopo, ai rintocchi lugubri di tutte le campane , il triste corteo si mise lentamente in movimento. Precedeva a piedi l’Arcivescovo col clero di Nicolosi e Pedara; venivano dopo portate a spalla le statue dei Santi, al trasporto delle quali aiutarono molto volentieri i fedeli della vicina Pedara dove quelle statue si dovevano trasportare. Chiudeva la processione un’onda immensa di popolo derelitto e piangente, che lasciava dietro di sé ogni suo bene, tanto cumulo di affetti e di memorie e si incamminava verso l’ignoto. A poco a poco la piazza già gremita da più di tremila persone andò svuotandosi; a poco a poco andò anche affievolendosi il mormorio della folla che si allontanava, tacquero le campane; poi d’intorno fu tutto solitudine e silenzio. Nicolosi era completamente sgombro. Giunti a Pedara l’instancabile mons. Dusmet non si ristette finchè non ebbe sistemati i sacerdoti di Nicolosi nella piccola abitazione di Pedara e cinquecento poveri in diverse cade del medesimo comune. Altri trovarono posto in altri paesi". Ma già al mattino di giovedì 3 giugno il braccio che aveva superato i Nicolosi era praticamente fermo e la scarsa attività dei crateri erano evidenti indizi che l’eruzione era finita. L’agenzia Stefani annunziava il 3 giugno la fermata della lava che rimase sospesa sul declivio soprastante Nicolosi. Scrive il corrispondente : "A soli 327 metri dalle prime case di Nicolosi s’arrestò la lava trattenuta dalla mano di Dio, là dove puntualmente non poteva fermarsi, cioè rimanendo sospesa sul pendio e declivio soprastante. Questo declivio è così ripido che io dovetti stancarmi a giungere montando fino a quel punto. E si fermò proprio ad un tiro di pietra dove si era pervenuti con la processione con il Velo di S. Agata e con la statua di S. Antonio Abate ". Non essendosi dunque manifestata più alcuna attività eruttiva fu ordinata la soppressione del cordone militare ed il ritorno dei nicolositi, che si verificò alla spicciolata nei giorni 10, 11 e 12. Però fu il 13 giugno, domenica di Pentecoste e giorno sacro al patrono del paese S. Antonio di Padova, che ebbe luogo il ritorno ufficiale. La processione partì alle 16.30 dalla Matrice di Pedara; l’Arcivescovo Dusmet fece a piedi tutta la strada fino a giungere nella piazza di Nicolosi. Qui si fecero schierare le statue dei Santi dinnanzi alla Chiesa Madre e l’Arcivescovo, salito sulla panchina del Casino dei Civili, predicò per venti minuti al popolo affollato e silenzioso".
Nicolosi si mantenne sempre grata a Dusmet; il Consiglio Comunale nella seduta dell’8 luglio lo ringraziava ufficialmente e subito dopo la sua morte gli dedicava una strada. E in occasione di una cerimonia di ringraziamento nella cattedrale di Catania il 7 luglio 1886 lo stesso Dusmet annunziava a tutta la diocesi la sua volontà di erigere una cappella sul luogo in cui era giunta la processione con il Velo di S. Agata e di sistemare i Tre Altarelli. Ma il Cardinale non potè vedere realizzato questo suo desiderio; la cappella sorse dopo la sua morte e fu inaugurata con un solenne pellegrinaggio in occasione dell’anniversario il 24 maggio 1903.
C’è uno stretto legame fra il Beato Cardinale Dusmet ed il popolo di Nicolosi che in diverse occasioni, e soprattutto durante i giorni di difficoltà e di dolore nel corso dell’eruzione del 1886, ha avvertito forte il conforto della parola di santità del Cardinale ed i benefici della Sua grande bontà e disponibilità. L’eruzione ebbe inizio nella notte tra il 18 e il 19 maggio 1886 preceduta da un fortissimo terremoto da una fenditura apertasi a dodici chilometri da Nicolosi . Le bocche erano due; dalla prima fuoriuscivano gas, cenere, lapilli e grossi macigni che formarono il monte Gemmellaro, così denominato in omaggio al celebre vulcanologo nativo di Nicolosi; dall’altra sgorgava il magma a forte velocità tanto che in 24 ore percorse due chilometri. Nello stesso giorno 19 Dusmet raggiunse Nicolosi dove gli abitanti lo attendevano numerosi; in piazza venne allestita una capanna-cappella dove l’Arcivescovo celebrò la S. Messa, la sera andò a pernottare a Pedara. E ogni giorno tornava a Nicolosi a confortare con la sua parola i cittadini che incontrava e confessava seduto sulla gradinata della Chiesa Madre. La sera del 23 maggio arriva in paese la triste notizia che sulla colata già vicina al Monte San Leo avanzava rapidissimo un nuovo torrente di lava. La notizia si propaga repentina e si diffonde ovunque; la popolazione si riversa sulle strade agitata, costernatissima; corre alle chiese e, levatene le statue dei Santi Protettori, le porta in processione fino ai Tre Altarelli. Un giornalista, Bernardo Gentile-Cusa, che seguì tutta l’eruzione e ne ha lasciato un’ampia cronaca, scrive di questo episodio:" Vivessi mille anni io non potrò mai dimenticare quella lugubre scena. Centinaia e centinaia di persone strette attorno ai simulacri si vedano al chiarore dei ceri e delle fiaccole agitarsi in mezzo all’oscurità. Non si udivano grida o schiamazzi, ma singhiozzi, pianto mal trattenuto, sommesso e commosso mormorio di fervide preghiere; e a vedere tutto quel popolo in preda allo sgomento, affranto dal dolore, colla disperazione sul volto, eppure così pieno di fede nell’intervento di un essere supremo è scosso anche l’animo nostro e invidiamo a quella gente semplice la fede che crede e non ragiona, quella fede che manca a noi". La lava continuava a scendere e così nel pomeriggio del giorno seguente, lunedì 24 maggio, l’Arcivescovo Dusmet tornò a Catania e trasportò egli stesso a Nicolosi la Reliquia del Velo di S.Agata. Seguiamo il racconto di don Gaetano Amadio che nel 1928 scrisse la completa biografia del Santo Cardinale: "Alle porte del paese tutti gli abitanti stavano ad attendere. Quando il Sacro Velo giunse e mons. Arcivescovo lo presentò al popolo, questi alzò alte grida invocando aiuto dalla martire catanese. Prima che si formasse il pellegrinaggio, monsignore rivolse queste parole: "Figli miei, in quest’ora solenne Nicolosi è in preda allo spavento e al terrore. Vi esorto a pregare la nostra eroina S.Agata . non temete! Ho tanta fiducia in S. Agata che Nicolosi sarà salvo. Venite tutti ad accompagnare il taumaturgoVelo sul luogo dell’eruzione e là genuflessi supplicheremo S.Agata per la cessazione del fuoco e per la salvezza della patria". Il corteo si improvvisò subito ordinato e commosso, con a capo Mons. Dusmet che portava devotamente il S. Velo e si fermò a poca distanza dal torrente di lava, lì dove ancora oggi una Cappella votiva segna il posto preciso; il popolo cantò le litanie, poi Monsignore a voce alta recitò la seguente preghiera: - O gloriosa Vergine e Martire S. Agata, genuflessi ai vostri piedi vi supplichiamo di venire in nostro aiuto. Invocate dal cielo pietà verso di noi minacciati da tanto flagello; stendete il vostro braccio, impedite che la lava prolunghi il suo corso e fate che cessi l’eruzione che minaccia questo lembo della vostra diocesi. O S. Agata prostrati ai vostri piedi, ci abbandoniamo come deboli figli tra le braccia della più tenera tra le madri e da Voi aspettiamo la liberazione da tanta sventura. - Per tre volte Monsignore benedisse col Sacro Velo quel monte di fuoco e riconfermò la sua fiducia nel miracolo che domandava a Dio in favore del suo popolo". Il pericolo non sembrava però diminuire; l’Arcivescovo si stabilì definitivamente a Nicolosi. Passava talvolta la notte intera su una poltrona del casino dei civili, sostenendosi con una semplice tazza di caffè, per essere sempre pronto alle richieste degli sventurati. La mattina celebrava la Messa, confessava, prendeva conoscenza del progresso della lava, veniva in soccorso di coloro che lasciavano le case, trascinandosi dietro le masserizie, i vini, le botti ed anche porte e finestre. Simile condotta teneva a Pedara quando si trovava lì o vi pernottava. Giovedì 27 maggio si aprì uno spiraglio di speranza: la salvezza dei Tre Altarelli. Anche stavolta seguiamo il racconto di don Gaetano Amadio: " Si avverò un prodigio che accese un raggio di speranza nel cuore di quelle disperate popolazioni. Già allo spuntare del giorno il braccio diretto agli Altarelli aveva quasi raggiunto l’oratorio. Una diramazione a fronte strettissimo, che partiva dal tronco principale, lo minacciava direttamente ed ormai così da vicino che nessuno si faceva illusione che l’investimento non fosse inevitabile ed imminente. Però contro ogni previsione, il braccio di lava minacciante gli Altarelli, arrivato a pochi metri di distanza da essi , rallentò ancora il suocammino già poco veloce , e crebbe di altezza quasi che si preparasse a superare la piccola prominenza su cui è posto l’oratorio; poi, quando i presenti si aspettavano l’investimento, fu visto partirsi dal fianco l’inizio di una diramazione laterale, che per le condizioni altimetriche favorevoli cominciò a scorrere verso est, chiamandosi la massa delle lave fluenti, la quale si diresse verso la valle di San Nicolò l’Arena lasciando incolume del tutto l’oratorio; e fu realmente uno strano effetto vedere la piccole mole di quel fabbricato risparmiato dalla enorme massa di lava, che lo lambì senza annientarlo. A questo fatto il popolo anticipò i suoi giudizi, allargò le sue speranze, ravvivò la sua fede, gridò al miracolo: - La lava come non ha osato toccare le immagini dei Santi agli Altarelli, molto meno toccherà le chiese di Nicolosi, piene ed adorne di quelle immagini. Per le Chiese Nicolosi sarà salvo".E il giorno dopo, venerdì 28 maggio, i nicolositi portarono ancora la statua di S. Antonio Abate davanti al fronte lavico, proprio sul posto dove oggi sorge l’altarino votivo che segna il limite massimo raggiunto dalla lava e dove ogni anno viene condotta la statua di S. Antonio in occasione della festa. Il mattino del 30 maggio la situazione era ancora peggiorata ed ormai nessuno si faceva illusioni sulla sorte di Nicolosi. Venne così pubblicata l’ordinanza del Prefetto che fissava per le ore 12 del 31 maggio lo sgombero del paese.
Diceva tale ordinanza:
Il Prefetto della Provincia per evitare disastri che sarebbero inevitabili qualora la lava invadendo il paese facesse scoppiare le cisterne
o r d i n a
che alle ore 12 del giorno d’oggi l’abitato di Nicolosi sia completamente sgombrato d’ogni persona. La truppa formerà un cordone attorno all’abitato nel raggio di un chilometro. Quelli che non volessero sgombrare vi saranno costretti con la forza.
Dalla pubblicazione della presente nessun estraneo al Comune potrà entrare nell’abitato. L’ora indicata per lo sgombro sarà annunciata alla popolazione a squillo di tromba e colle campane.
A Nicolosi 31 maggio 1886. Il Prefetto Millo".
E seguiamo la cronaca di Gentile-Cusa dello sgombero del paese:
"Pubblicata l’ordinanza prefettizia a Nicolosi era tutto squallore e tristezza. Poche case ancora abitate; le altre completamente vuote e abbandonate, e lo manifestavano all’esterno perché prive di imposte, svaligiate, senza parapetti ai balconi e alcune persino senza stipiti di pietra alle apertura. In piazza si commentava con vivacità l’ordinanza prefettizia: generalmente si giudicava come opportuna e saggia; c’era però chi la stimava prematura e chi parendogli affatto ingiustificata minacciava di volergli resistere. Alle 12 in punto il presidio militare di fanteria e reali carabinieri, dato il segnale convenuto di uno squillo di tromba, percorrendo le vie, diede inizio a sgomberare il paese. Le campane delle sei chiese di Nicolosi davano anch’esse il triste annuncio che l’ora del doloroso distacco era suonata. La popolazione, quantunque preparata a quel suono, fu vinta allora da un irrefrenabile impeto di commozione e piangendo rifluì in piazza dove si trovavano raccolti non solo gli abitanti di Nicolosi ma anche quelli di Pedara e di altri paesi vicini. E là, dinnanzi ad un popolo soggiogato dalla solennità di quel momento supremo di dolore, l’Arcivescovo rivolto alla folla pronunziò poche ed opportune parole di rassegnazione e di conforto, invitando i fedeli a lasciare ordinatamente il paese senza disperare dell’aiuto divino che, commosso dalla fede del suo popolo, avrebbe potuto impedire ancora la distruzione del paese.E poco dopo, ai rintocchi lugubri di tutte le campane , il triste corteo si mise lentamente in movimento. Precedeva a piedi l’Arcivescovo col clero di Nicolosi e Pedara; venivano dopo portate a spalla le statue dei Santi, al trasporto delle quali aiutarono molto volentieri i fedeli della vicina Pedara dove quelle statue si dovevano trasportare. Chiudeva la processione un’onda immensa di popolo derelitto e piangente, che lasciava dietro di sé ogni suo bene, tanto cumulo di affetti e di memorie e si incamminava verso l’ignoto. A poco a poco la piazza già gremita da più di tremila persone andò svuotandosi; a poco a poco andò anche affievolendosi il mormorio della folla che si allontanava, tacquero le campane; poi d’intorno fu tutto solitudine e silenzio. Nicolosi era completamente sgombro. Giunti a Pedara l’instancabile mons. Dusmet non si ristette finchè non ebbe sistemati i sacerdoti di Nicolosi nella piccola abitazione di Pedara e cinquecento poveri in diverse cade del medesimo comune. Altri trovarono posto in altri paesi". Ma già al mattino di giovedì 3 giugno il braccio che aveva superato i Nicolosi era praticamente fermo e la scarsa attività dei crateri erano evidenti indizi che l’eruzione era finita. L’agenzia Stefani annunziava il 3 giugno la fermata della lava che rimase sospesa sul declivio soprastante Nicolosi. Scrive il corrispondente : "A soli 327 metri dalle prime case di Nicolosi s’arrestò la lava trattenuta dalla mano di Dio, là dove puntualmente non poteva fermarsi, cioè rimanendo sospesa sul pendio e declivio soprastante. Questo declivio è così ripido che io dovetti stancarmi a giungere montando fino a quel punto. E si fermò proprio ad un tiro di pietra dove si era pervenuti con la processione con il Velo di S. Agata e con la statua di S. Antonio Abate ". Non essendosi dunque manifestata più alcuna attività eruttiva fu ordinata la soppressione del cordone militare ed il ritorno dei nicolositi, che si verificò alla spicciolata nei giorni 10, 11 e 12. Però fu il 13 giugno, domenica di Pentecoste e giorno sacro al patrono del paese S. Antonio di Padova, che ebbe luogo il ritorno ufficiale. La processione partì alle 16.30 dalla Matrice di Pedara; l’Arcivescovo Dusmet fece a piedi tutta la strada fino a giungere nella piazza di Nicolosi. Qui si fecero schierare le statue dei Santi dinnanzi alla Chiesa Madre e l’Arcivescovo, salito sulla panchina del Casino dei Civili, predicò per venti minuti al popolo affollato e silenzioso".
Nicolosi si mantenne sempre grata a Dusmet; il Consiglio Comunale nella seduta dell’8 luglio lo ringraziava ufficialmente e subito dopo la sua morte gli dedicava una strada. E in occasione di una cerimonia di ringraziamento nella cattedrale di Catania il 7 luglio 1886 lo stesso Dusmet annunziava a tutta la diocesi la sua volontà di erigere una cappella sul luogo in cui era giunta la processione con il Velo di S. Agata e di sistemare i Tre Altarelli. Ma il Cardinale non potè vedere realizzato questo suo desiderio; la cappella sorse dopo la sua morte e fu inaugurata con un solenne pellegrinaggio in occasione dell’anniversario il 24 maggio 1903.
Il miracolo della beatificazione.
La guarigione di un muratore messinese da una malattia giudicata irreversibile
(da l’Osservatore Romano del 25 settembre 1988)
Per un complesso di circostanze storiche e di particolari situazioni ambientali, non fu possibile dare inizio al processo canonico di beatificazione e canonizzazione prima dell’inizio del 1931.
Il processo ordinario catanese venne costruito negli anni 1931-1937, accompagnato da due processi rogatoriali, uno a Torino (1936) e uno a Montecassino (1935-1937). Il «Transumptum» delle inchieste canoniche diocesane venne trasmesso alla Congregazione dei riti nel 1937, e sempre nel 1937 si ebbe il decreto sul «non culto».
Il processo «sugli scritti», svolto negli anni 1939-1940, venne approvato con decreto della Congregazione il 5 febbraio 1941.
Alle «Animadversiones» del promotore generale della fede, datate il 31 maggio 1947, seguì sollecitamente, il 9 dicembre dello stesso anno, la «Risposta del patrono».
Il 2 gennaio 1949 Pio XII nominò la commissione per il Processo apostolico sulle virtù, processo che fu costruito in Catania dal 1949 al 1951, e il 17 marzo 1954 ne venne riconosciuta la validità.
Il 27 ottobre 1954 la postulazione della causa presentò il «Summarium», seguito il 29 maggio 1955 dalla «Informatio».
Il promotore generale della fede consegnò le sue nuove «Animadversiones» il 7 dicembre 1957, e il 18 giugno 1958 fu depositata presso la Congregazione dei Riti la nuova «Risposta del patrono» e con essa la «Posizione sulle virtù».
Il 1 marzo 1960 si tenne la «Congregazione antepreparatoria», mentre quella «preparatoria» ebbe luogo il 15 dicembre 1964.
Nella «Congregazione generale» del 18 maggio 1965, alla presenza di Paolo VI, ponente il Card. Enrico Dante, fu proposta la discussione «super dubio an constet de virtutibus». Dopo il voto espresso dai cardinali, dai prelati officiali e dai Teologi Consultori presenti, Sua Santità manifestò il suo assenso. Finalmente il 15 luglio 1965 lo stesso Santo Padre «ha solennemente dichiarato: consta dell’esercizio in grado eroico delle virtù, e ha ordinato che questo decreto fosse promulgato e registrato negli atti della Congregazione dei riti».
Il miracolo attribuito alla intercessione del Card. Dusmet, riconosciuto e approvato dalla Santa Sede riguarda la guarigione di Salvatore Consoli, nato a Belpasso (Catania) il 18 febbraio 1886, domiciliato ad Adrano (Catania), coniugato con Carmela Messina, di professione muratore, nel maggio 1937, all’età di 51 anni, a seguito di una caduta da una scala, il Consoli fu costretto a letto con febbri altissime che dal medico curante, dott. Crisafulli, in un primo momento, vennero attribuite ad affezione malarica.
A distanza di qualche tempo sopravvennero dolori acutissimi in corrispondenza della sezione lombare della colonna vertebrale.
In tali condizioni egli venne ricoverato, in data 29 luglio 1937, nella divisione neurologica dell’ospedale civico «Vittorio Emanuele» in Catania.
Il giorno 6 agosto 1937 venne eseguito un esame radiologico della colonna vertebrale, contrassegnato «OVE 1340 D», da cui risultò che «nella proiezione laterale il corpo della XII dorsale appare in parte distrutto ed inchinato sul corpo della I lombare, con la quale è a contatto diretto».
Lo stato di saluto peggiorò. I famigliari fecero allora ricorso all’intercessione del Cardinale Dusmet applicando fiori ed una sua immaginetta sul corpo del malato. Immediatamente il dolore cessò, scomparve la febbre, le sporgenze si ritirarono, e il malato poté riprendere a camminare.
La guarigione del Consoli fu completa e definitiva. Egli non ebbe mai più alcuna recidiva della suddescritta sindrome morbosa. Mise al mondo un’altra figlia, Agata, tuttora vivente in Adrano, la quale ricorda e conferma quando deposto da sua madre «per averlo udito dire direttamente da mio padre».
Dopo essere sopravvissuto alla sanazione per altri 34 anni, il Consoli morì in Adrano il 16 novembre 1971, per carcinoma allo stomaco, all’età di 85 anni.
Il processo ordinario sul miracolo, conchiuso il 7 dicembre 1987, venne subito trasmesso alla Congregazione per le Cause dei Santi che il 5 marzo 1988 ne decretò la validità. Il 1 giugno 1988 la consulta medica, con voto unanime, dichiarò la sanazione del Consoli «inspiegabile secondo le attuali conoscenze mediche». Il 1 luglio successivo uguale unanimità fu espressa dai consultori Teologi del congresso speciale, e il 19 dello stesso mese anche i Cardinali, ponente il Cardinale Pietro Palazzini, espressero concordemente voto favorevole.
Il decreto sulla autenticità del miracolo è stato promulgato da Giovanni Paolo II il 1° settembre 1988.
Paolino B. Quattrocchi
Postulatore della Causa
(da l’Osservatore Romano del 25 settembre 1988)
Per un complesso di circostanze storiche e di particolari situazioni ambientali, non fu possibile dare inizio al processo canonico di beatificazione e canonizzazione prima dell’inizio del 1931.
Il processo ordinario catanese venne costruito negli anni 1931-1937, accompagnato da due processi rogatoriali, uno a Torino (1936) e uno a Montecassino (1935-1937). Il «Transumptum» delle inchieste canoniche diocesane venne trasmesso alla Congregazione dei riti nel 1937, e sempre nel 1937 si ebbe il decreto sul «non culto».
Il processo «sugli scritti», svolto negli anni 1939-1940, venne approvato con decreto della Congregazione il 5 febbraio 1941.
Alle «Animadversiones» del promotore generale della fede, datate il 31 maggio 1947, seguì sollecitamente, il 9 dicembre dello stesso anno, la «Risposta del patrono».
Il 2 gennaio 1949 Pio XII nominò la commissione per il Processo apostolico sulle virtù, processo che fu costruito in Catania dal 1949 al 1951, e il 17 marzo 1954 ne venne riconosciuta la validità.
Il 27 ottobre 1954 la postulazione della causa presentò il «Summarium», seguito il 29 maggio 1955 dalla «Informatio».
Il promotore generale della fede consegnò le sue nuove «Animadversiones» il 7 dicembre 1957, e il 18 giugno 1958 fu depositata presso la Congregazione dei Riti la nuova «Risposta del patrono» e con essa la «Posizione sulle virtù».
Il 1 marzo 1960 si tenne la «Congregazione antepreparatoria», mentre quella «preparatoria» ebbe luogo il 15 dicembre 1964.
Nella «Congregazione generale» del 18 maggio 1965, alla presenza di Paolo VI, ponente il Card. Enrico Dante, fu proposta la discussione «super dubio an constet de virtutibus». Dopo il voto espresso dai cardinali, dai prelati officiali e dai Teologi Consultori presenti, Sua Santità manifestò il suo assenso. Finalmente il 15 luglio 1965 lo stesso Santo Padre «ha solennemente dichiarato: consta dell’esercizio in grado eroico delle virtù, e ha ordinato che questo decreto fosse promulgato e registrato negli atti della Congregazione dei riti».
Il miracolo attribuito alla intercessione del Card. Dusmet, riconosciuto e approvato dalla Santa Sede riguarda la guarigione di Salvatore Consoli, nato a Belpasso (Catania) il 18 febbraio 1886, domiciliato ad Adrano (Catania), coniugato con Carmela Messina, di professione muratore, nel maggio 1937, all’età di 51 anni, a seguito di una caduta da una scala, il Consoli fu costretto a letto con febbri altissime che dal medico curante, dott. Crisafulli, in un primo momento, vennero attribuite ad affezione malarica.
A distanza di qualche tempo sopravvennero dolori acutissimi in corrispondenza della sezione lombare della colonna vertebrale.
In tali condizioni egli venne ricoverato, in data 29 luglio 1937, nella divisione neurologica dell’ospedale civico «Vittorio Emanuele» in Catania.
Il giorno 6 agosto 1937 venne eseguito un esame radiologico della colonna vertebrale, contrassegnato «OVE 1340 D», da cui risultò che «nella proiezione laterale il corpo della XII dorsale appare in parte distrutto ed inchinato sul corpo della I lombare, con la quale è a contatto diretto».
Lo stato di saluto peggiorò. I famigliari fecero allora ricorso all’intercessione del Cardinale Dusmet applicando fiori ed una sua immaginetta sul corpo del malato. Immediatamente il dolore cessò, scomparve la febbre, le sporgenze si ritirarono, e il malato poté riprendere a camminare.
La guarigione del Consoli fu completa e definitiva. Egli non ebbe mai più alcuna recidiva della suddescritta sindrome morbosa. Mise al mondo un’altra figlia, Agata, tuttora vivente in Adrano, la quale ricorda e conferma quando deposto da sua madre «per averlo udito dire direttamente da mio padre».
Dopo essere sopravvissuto alla sanazione per altri 34 anni, il Consoli morì in Adrano il 16 novembre 1971, per carcinoma allo stomaco, all’età di 85 anni.
Il processo ordinario sul miracolo, conchiuso il 7 dicembre 1987, venne subito trasmesso alla Congregazione per le Cause dei Santi che il 5 marzo 1988 ne decretò la validità. Il 1 giugno 1988 la consulta medica, con voto unanime, dichiarò la sanazione del Consoli «inspiegabile secondo le attuali conoscenze mediche». Il 1 luglio successivo uguale unanimità fu espressa dai consultori Teologi del congresso speciale, e il 19 dello stesso mese anche i Cardinali, ponente il Cardinale Pietro Palazzini, espressero concordemente voto favorevole.
Il decreto sulla autenticità del miracolo è stato promulgato da Giovanni Paolo II il 1° settembre 1988.
Paolino B. Quattrocchi
Postulatore della Causa
Guarigione miracolosa
(Testimonianza agli Atti del Processo della sig.ra Maria Musumeci Berretta in Sommario I, 616-617)
Quando la salma del Servo di Dio fu esumata per essere trasportata in Cattedrale (1904) ... fu trovato in perfetta conservazione lo zucchetto rosso che gli copriva il capo. Il canonico Marcenò pigliò per sé, come reliquia, questo zucchetto e lo conservava con grande affetto. Quando il padre del sac. Maggiore Sante fu gravemente ammalato e in fin di vita... pregò con viva istanza la sorella del can. Marcenò, che aveva ereditato anche lo zucchetto, perché glielo concedesse per poco tempo. Egli applicò questa reliquia sul padre gravemente infermo e questi, a quanto mi si diceva sia dal sac. Maggiore, sia dalla signorina Marcenò, improvvisamente guarì.
Quando la salma del Servo di Dio fu esumata per essere trasportata in Cattedrale (1904) ... fu trovato in perfetta conservazione lo zucchetto rosso che gli copriva il capo. Il canonico Marcenò pigliò per sé, come reliquia, questo zucchetto e lo conservava con grande affetto. Quando il padre del sac. Maggiore Sante fu gravemente ammalato e in fin di vita... pregò con viva istanza la sorella del can. Marcenò, che aveva ereditato anche lo zucchetto, perché glielo concedesse per poco tempo. Egli applicò questa reliquia sul padre gravemente infermo e questi, a quanto mi si diceva sia dal sac. Maggiore, sia dalla signorina Marcenò, improvvisamente guarì.
Miracoli sulla sua tomba
(Testimonianza del sig. Valora in Sommario I, 606-607)
Un giorno una povera donna con lagrime domandava al Servo di Dio che ispirasse qualche buona persona a farle l'elemosina. Era ivi presente l'artista Angelo Musco, molto devoto del Servo di Dio, il quale, a vedere le lagrime di quella donna, mise mano alla borsa e le diede in elemosina lire dieci. La gente, commentando questo fatto, osservava: Il Servo di Dio, anche morto, fa elemosina ai poveri.
Un'altra volta ... una povera donna era venuta alla tomba del Servo di Dio per impetrare da lui la grazia di potere essere presa in servizio, almeno come portinaia. Mentre si accingeva ad uscire di chiesa, fu avvicinata da una signora che le disse: "Buona donna, volete accettare un posto di portinaia? C'è a vostra disposizione una casetta e due lire al giorno!". La donna rimase sbalordita e cominciò a manifestare con gesti e grida la sua riconoscenza verso il Servo di Dio, tanto che mise in una specie di scompiglio i fedeli che si trovavano in chiesa.
Un giorno una povera donna con lagrime domandava al Servo di Dio che ispirasse qualche buona persona a farle l'elemosina. Era ivi presente l'artista Angelo Musco, molto devoto del Servo di Dio, il quale, a vedere le lagrime di quella donna, mise mano alla borsa e le diede in elemosina lire dieci. La gente, commentando questo fatto, osservava: Il Servo di Dio, anche morto, fa elemosina ai poveri.
Un'altra volta ... una povera donna era venuta alla tomba del Servo di Dio per impetrare da lui la grazia di potere essere presa in servizio, almeno come portinaia. Mentre si accingeva ad uscire di chiesa, fu avvicinata da una signora che le disse: "Buona donna, volete accettare un posto di portinaia? C'è a vostra disposizione una casetta e due lire al giorno!". La donna rimase sbalordita e cominciò a manifestare con gesti e grida la sua riconoscenza verso il Servo di Dio, tanto che mise in una specie di scompiglio i fedeli che si trovavano in chiesa.